- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

YouTube ha chiuso oltre 9.000 canali accusandoli di essere filo-russi

La testata britannica The Guardian ha fatto un po’ di conti in tasca al più noto portale di video-social, YouTube. Ne è emerso che dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il sito di streaming operante sotto Google ha compiuto un’intensa azione di censura nei confronti dei video filo-russi. A scomparire dalla Rete sono stati infatti 70.000 clip e 9.000 canali che avevano commentato la situazione bellica attualmente in atto, accusate di aver violato le policy del sito.

In passato abbiamo già scritto [1] della rimozione di RT, canale d’informazione controllato dal Cremlino, tuttavia l’intervento di YouTube si è esteso in maniera capillare toccando anche giornalisti specifici quali Vladimir Solovyov e i canali collegati al Ministero della Difesa e a quello degli Affari Esteri di Mosca. Il sito non ha fornito dati specifici sulla questione e, interpellato dal quotidiano [2] inglese, il responsabile del prodotto Neal Mohan si è limitato a rilasciare un commento molto vago e ambiguo.

«Non ho i numeri specifici», ha sostenuto il dirigente, «ma potete immaginare che molti di questi video rappresentino narrative che provengono dal Governo russo o da attori russi che operano in vece del Governo russo». Se YouTube ha tenuto traccia della sua scelta editoriale, insomma, non ha in questo momento alcun progetto di condividerne i dettagli con il pubblico internazionale.

Quello che tuttavia è chiaro è che l’intervento sia stato elevato oltre alla dinamica della lotta alla disinformazione, alla guerra alle “fake news”. Molti dei canali e dei video colpiti non sarebbero stati infatti intercettati per l’incorrettezza delle informazioni trattate, quanto per il tono adottato nei video stessi. Alcuni profili sono stati dunque bloccati temporaneamente semplicemente per aver identificato l’assalto russo a Kiev come una «missione di liberazione», una lettura che, per quanto difficilmente condivisibile, è propria di dinamiche geopolitiche che sono generalmente tollerate.

Content creator, giornalisti e istituzioni vicine al Cremlino avrebbero violato le linee guida del portale, le quali «proibiscono contenuti che negano, minimizzano o trivializzano eventi violenti ben documentati». O almeno così sostiene [3]YouTube su Twitter. Che i social vogliano sgravarsi da qualsivoglia contenuto politico e dipingersi come posti felici dove svagarsi è cosa nota, tuttavia la portata di questo approccio censorio apre inevitabilmente una discussione su quali siano le narrazioni da considerare valide e quali invece meritino di essere punite con l’oscurantismo.

Non è raro che Governi e Amministrazioni descrivano le manovre belliche al pari di “missioni di pace” o di “esportazioni di democrazia”, che decorino i propri interessi strategici come un bene per l’umanità che fatalmente si traduce nella morte di innocenti, in crimini di guerra e nel foraggiamento di cleptocrazie che violano apertamente i diritti umani. Allo stesso tempo, è difficile credere che Google, azienda statunitense, sia pronta a bloccare i canali della Casa Bianca qualora questa dovesse imporre le proprie narrazioni al pubblico della Rete, quindi si torna sempre al solito dilemma: sta davvero alle Big Tech decidere quali siano gli argomenti degni di censura e, nel caso, i portali non dovrebbero essere considerati legalmente come omologhi delle case editrici?

[di Walter Ferri]