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UE, le rinnovabili diventano impianti di interesse pubblico prioritario: che significa?

Nelle scorse ore la Commissione europea ha presentato ufficialmente il piano RePowerEu, con l’obiettivo dichiarato di “rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030”. Sono tre i pilastri su cui si basa l’iniziativa, due coerenti con la politica climatica e l’altro in direzione opposta: investire in fonti rinnovabili, migliorare l’efficienza energetica e legarsi ad altri fornitori di energia fossile. Allo scopo saranno mobilitati quasi 300 miliardi di euro, di cui circa 75 in sovvenzioni e 225 in prestiti. Il 95% del finanziamento complessivo andrà ad accelerare e intensificare la transizione verso l’energia pulita, rendendo le rinnovabili degli impianti di interesse pubblico prioritario.

La direzione intrapresa dal piano RePowerEu si traduce in una previsione al rialzo degli obiettivi contenuti nel pacchetto Fit for 55, un insieme di proposte della Commissione europea per rispettare gli obiettivi climatici previsti per la fine del decennio, a partire dal taglio delle emissioni del 55% tra il 1990 e il 2030. «Cominceremo con la cosa più ovvia: il risparmio energetico, il modo più rapido ed economico per affrontare il problema della crisi energetica attuale», ha affermato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. L’obiettivo è di ridurre i consumi finali del 13% nel breve periodo, una previsione al rialzo rispetto al 9% contenuto nel pacchetto Fit for 55. Secondo il RePowerEu, le fonti rinnovabili dovranno soddisfare entro il 2030 il 45% dei consumi energetici totali, dal 35% attuale. Per raggiungere quello che sembra essere l’impegno più complicato, la Commissione europea ha previsto diverse misure: dall’abbattimento della burocrazia, visto che «oggi le procedure autorizzative possono durare dai sei ai nove anni e l’obiettivo è la riduzione a soli 12 mesi», all’obbligo di copertura fotovoltaica per i nuovi edifici pubblici e commerciali dal 2025 (per quelli residenziali dal 2029), passando per l’incremento della produzione di biometano. Su quest’ultimo punto, l’Italia ha giocato d’anticipo sull’Unione europea, visto che all’interno del tanto discusso [1] disegno di legge di conversione del decreto Ucraina bis è prevista “l’espansione della capacità tecnica necessaria alla produzione di energia elettrica da biogas”, dalla cui lavorazione deriva proprio il biometano.

Roma sembra essere allineata a Bruxelles anche sul terzo pilastro su cui si basa il RePowerEu, quello della diversificazione degli approvvigionamenti energetici, a cui l’Unione europea dedicherà circa 12 dei 300 miliardi stanziati. Nelle scorse settimane, si sono registrate [2] infatti numerose spedizioni da parte dell’esecutivo italiano, accompagnato dall’ad di Eni Claudio Descalzi, per siglare nuovi accordi, o implementare quelli già esistenti, con Egitto, Mozambico, Algeria, Angola e Congo, accompagnati da non pochi dubbi etici, vista la situazione politica in cui versano. A questi, si aggiungono poi le perplessità sulle reali capacità produttive di tali paesi, soprattutto per Angola e Congo, a cui manca un sistema efficiente per valorizzare le proprie risorse.

[Di Salvatore Toscano]