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“Inutile tirannia”: il più antico settimanale inglese parla del green pass italiano

Il settimanale più antico al mondo non ha di certo usato eufemismi per parlare della rigidità delle restrizioni italiane legate alla pandemia, definite come “le più dure, nonostante i dati mostrino la loro inutilità”. The Spectator, rivista di stampo conservatore fondata nel Regno Unito nel 1828, ha pubblicato [1] domenica 20 febbraio un articolo pungente e diretto nei confronti dell’Italia, descritta come il paese con “il passaporto vaccinale più draconiano d’Europa, dove indovini e guaritori rappresentano un’industria multi-miliardaria. Lì la psicosi di massa acceca i suoi politici e la sua gente dalla verità”.

Dunque dal Regno Unito, precisamente da uno dei suoi giornali storici, sembrerebbe arrivare una risposta all’attacco più o meno celato mosso dalle istituzioni italiane nei confronti della strategia britannica relativa alla pandemia, dipinta come “irresponsabile”. Nei mesi scorsi più volte sono state bollate come affrettate le riaperture proposte da Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito e direttore per diversi anni del The Spectator, il quale ha deciso di continuare sulla propria strada fatta di rallentamenti delle restrizioni, che dal prossimo 24 febbraio verranno ritirate [2] in via definitiva nel Paese. Si tratta di una strada particolarmente condivisa in Europa, dalla Danimarca alla Finlandia [3], passando per Austria e Irlanda, ma ancora lontana da quella immaginata dal Governo italiano e dal Ministro della salute Roberto Speranza, che di recente ha affermato [4]: «Il green pass è stato ed è un pezzo fondamentale della nostra strategia. Le mascherine al chiuso sono ancora importanti: non riesco a vedere un momento X in cui il virus non esiste più e cancelliamo insieme tutti gli strumenti».

Proprio il green pass, meglio conosciuto oltremanica come passaporto vaccinale, rappresenta il cuore dell’attacco della rivista inglese, che a riguardo ha scritto: “I non vaccinati sono stati presto banditi da quasi tutti gli spazi e trasporti pubblici, e persino dal lavoro, con possibilità di accedervi avendo contratto il virus entro sei mesi o pagando un test da 15 euro una volta ogni 48 ore”. Così il green pass viene visto nel Regno Unito come un “esercizio di inutile tirannia“, affiancato dalla sua variante rafforzata che “da dicembre scorso ha reso la vaccinazione ormai obbligatoria per tutti coloro che usufruiscono dei mezzi pubblici o intendono accedere a ristoranti, bar (anche all’esterno), parrucchieri e stadi sportivi, a meno che non abbiano avuto il Covid negli ultimi sei mesi. Il diritto dei non vaccinati di sostenere il test di 15 euro ogni 48 ore per accedere alla maggior parte dei luoghi pubblici è stato così annullato”.

L’attacco continua poi verso l’esecutivo e i suoi sostenitori, popolo compreso. Secondo Nicholas Farrell, autore dell’articolo, nessuno ammetterà mai che il green pass sia stato un fallimento, poiché “hanno tutti troppa faccia da perdere ora“, e aggiunge: “che la loro convinzione ossessiva sulle meraviglie del green pass sia una completa assurdità è chiaro da un confronto dei dati fra Italia e Regno Unito, che in realtà non ha avuto alcuna forma di passaporto vaccinale”, o almeno non stringente come nel nostro Paese. Le popolazioni dei due Stati sono simili: 59 milioni di abitanti per l’Italia e 69 milioni per il Regno Unito. Nel primo l’88,92% [5] degli over 12 è completamente vaccinato, rispetto all’84,9% [6] del secondo. “La lezione è chiara: la stragrande maggioranza delle persone ha scelto di essere vaccinata di propria spontanea volontà e non ha bisogno di essere costretta a farlo dallo Stato“. Inoltre, “se le misure restrittive avessero lavorato bene, i tassi di infezione dell’Italia sarebbero stati di gran lunga inferiori a quelli del Regno Unito. Eppure, dalla comparsa della variante Omicron i due Paesi hanno avuto [7] un numero di casi abbastanza simile”.

Insomma, a distanza di mesi dalla sua adozione, la certificazione verde lascia ancora ampia discussione fra due parti discordanti: da un lato chi si avvia, non avendola mai adottata o dopo averlo fatto, verso la sua abolizione; dall’altro chi si ostina [8] a farne un punto centrale della propria strategia di contrasto alla pandemia, nonostante la crescita costante delle perplessità. Entrambe le parti condividono lo stesso punto di partenza: la convinzione che il virus non scomparirà, almeno non nell’immediato. Sul finale, però, scelgono due strade differenti: la maggior parte dei Paesi europei accetterà la convivenza, tornando alla normalità. L’Italia, invece, si limita a parlare [9] di ritiro graduale e indefinito delle restrizioni, scommettendo dunque a oltranza sulla propria convinzione.

[Di Salvatore Toscano]