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La ricerca sui nuovi antibiotici e il “modello Netflix”: la nuova idea del WEF

Investire per produrre nuovi antibiotici costa tanto e il ritorno economico è incerto? Le big pharma hanno la soluzione: gli stati acquistino i nuovi medicinali a scatola chiusa, senza nemmeno la certezza che saranno efficaci, in modo da suddividere tra i cittadini i costi della ricerca senza intaccare i profitti aziendali. A metterlo nero su bianco, con una prosopopea decisamente più rassicurante, sono stati il colosso delle consulenze finanziarie Boston Consulting Group (BCG) e la “confindustria” che rappresenta gli interessi delle più grandi multinazionali e dei fondi d’investimento globali, ovvero il World Economic Forum (WEF). I due soggetti hanno redatto un report [1] con la proposta di elaborare un “modello di abbonamento” basato su un pagamento fisso annuale per un periodo prestabilito. Si legge, infatti, nella sintesi del documento [2], che “i governi devono trovare un modo per fornire una cifra stabilita che sia sufficiente a compensare tutti i costi di investimento in ricerca e sviluppo prima che il prodotto sia pronto ad entrare sul mercato”. Questo schema di pagamento periodico – ribattezzato il “modello Netflix degli antibiotici” – è già stato sperimentato in Gran Bretagna e in Svezia e dovrebbe servire a promuovere la produzione di nuovi farmaci antibatterici: da molti anni, infatti, sono state interrotte le ricerche in questo settore, in quanto sono molto onerose e ritenute non redditizie, mentre gli antibiotici in commercio si sono rivelati obsoleti e spesso dannosi, a causa di un loro eccessivo utilizzo che ha portato all’emergere di nuovi “superbatteri” resistenti. Nel report in questione viene sottolineata l’esigenza di una nuova forma di collaborazione tra pubblico e privato in base alla quale il settore pubblico si dovrebbe assumere interamente i rischi e i costi delle attività di ricerca e sviluppo di aziende private, senza specificare nulla sulla suddivisione degli eventuali profitti.

Poiché le aziende farmaceutiche non accettano più il rischio di produrre antibiotici, il modello che vede lo stato finanziatore risulta quello prescelto, in quanto offre alle case produttrici una sicurezza sia in termini di ricavi, sia in termini di domanda, fornendo una prevedibilità finanziaria e rimettendo i rischi unicamente in capo al settore pubblico. Per questo, la conclusione del report è che – dopo avere analizzato cinque potenziali modelli per promuovere nuovi investimenti – quello chiamato “modello di pagamento in abbonamento” appare l’opzione migliore e più praticabile per rinvigorire il settore dello sviluppo di nuovi farmaci antibatterici.

Il problema dell’antibiotico-resistenza si prospetta, secondo il BCG, come una nuova potenziale pandemia all’orizzonte che – si legge – “potrebbe causare più morti e malattie gravi rispetto al Covid-19”. Da qui nasce l’esigenza di coinvolgere i governi, instaurando una nuova collaborazione tra pubblico e privato, per prevenire una crisi sanitaria globale: a causa di questo fenomeno si sono registrate complicanze anche gravi rispetto ad infezioni in precedenza facilmente curabili e la rivista scientifica The Lancet ha affermato [3] in uno studio che si stimano 3500 decessi giornalieri direttamente correlabili alla resistenza antimicrobica. Si tratta di un problema reale, decenni di abuso di farmaci antibiotici uniti alla mancanza di ricerca su farmaci aggiornati, hanno portato al fenomeno dell’insorgenza di nuovi batteri resistenti agli antibiotici attualmente disponibili. Un fenomeno particolarmente diffuso anche in Europa.

La pandemia di Covid19 e il problema della resistenza antimicrobica vengono accostati, sottolineando l’importanza di una collaborazione transnazionale “per affrontare una minaccia che riguarda la salute globale”. Il sottotesto è chiaro: nelle intenzioni delle multinazionali anche la necessità di sviluppare nuovi antibiotici deve seguire lo stesso canovaccio dei vaccini anti-Covid: la ricerca deve godere di ampie sovvenzioni pubbliche, poiché le aziende non sono disposte a sobbarcarsi i rischi d’impresa.

Si legge quindi che “tutti gli stakeholders devono unire le loro forze con un senso di urgenza e solidarietà globale”, in quanto se il nuovo modello dovesse fallire, le conseguenze della resistenza antimicrobica sarebbero catastrofiche: “Se fallissimo, avremmo appena cominciato a vedere la sofferenza umana e i problemi sociali che la resistenza antimicrobica comporta”. Gli stakeholders nel linguaggio finanziario sono i “portatori di interessi”, termine con il quale si raggruppano tutti i soggetti che hanno incarichi e interessi su un certo tema, in buona sostanza – in questo caso – politici con voce in capitolo, aziende farmaceutiche e altri soggetti economici (finanziarie, società di consulenza, ecc) con specifici interessi in gioco. La proposta del WEF è netta e ricalca la teorizzata governance 4.0 [4], quella in cui governi e portatori d’interessi privati governano a braccetto, che è il vero obiettivo già esplicitato del consesso di Davos.

[di Giorgia Audiello]