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Bodycam alla polizia, ma la tutela dei cittadini non c’entra niente

Con una circolare [1] del Capo della Polizia, diffusa a tutte le Questure, sono state rese operative le circa mille bodycam distribuite alle Forze dell’Ordine. Si tratta di una strumentazione volta a tutelare l’operato degli agenti che intervengano in situazioni di gestione dell’ordine pubblico nell’ambito di “eventi di rilievo”. Sebbene l’adozione di questi apparecchi sia stata accolta con favore dai sindacati delle Forze dell’Ordine, viene spontaneo domandarsi quale sia l’effettiva utilità o necessità. Sempre più casi di cronaca raccontano infatti di un’estrema difficoltà nell’ottenere condanne nei confronti di agenti che facciano uso illegittimo della forza, con processi che arrivano a protrarsi anche per decenni (si pensi ai 12 anni necessari per la condanna degli assassini di Stefano Cucchi, o agli 8 nel caso della morte di Aldo Bianzino [2], che hanno portato a un sostanziale nulla di fatto).

Con una circolare diffusa martedì 18 gennaio il Capo della Polizia Lamberto Giannini ha reso operative le circa mille bodycam distribuite alle Forze dell’Ordine, affinché vengano utilizzate nell’ambito di grandi eventi. Nello specifico, 700 videocamere sono state date in dotazione a 15 Reparti Mobili della Polizia di Stato e 249 alle unità mobili dell’Arma dei Carabinieri. Secondo Gianni Tonelli [3], deputato della Lega e segretario del Sap (Sindacato Autonomo di Polizia), si tratta di una grande vittoria, che permette di tutelare la comunità degli agenti, a suo dire “sconfortata, sottoposta a processo senza aver la possibilità di difendersi con prove inconfutabili, come è un filmato”. Si tratta quindi, in tutta evidenza, di una misura pensata per tutelare gli agenti di polizia. L’interesse dei cittadini non è menzionato.

Le registrazioni potranno essere avviate “ogniqualvolta l’evolversi degli scenari faccia intravedere l’insorgenza di concrete e reali situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica o quando siano perpetrati fatti costituenti reato”, per essere poi interrotte “quando venga meno la necessità di documentare gli eventi”. I filmati sono poi conservabili “in linea generale” per sei mesi, di più se necessari in caso di procedimenti legali.

“I miei colleghi uscivano in strada in un totale stato di soggezione, con un livello di serenità nullo, persone per bene, servitori dello Stato che per poco rischiano la vita e per false denunce si trovavano sottoposte a un processo di disumanizzazione, dipinti come orsi cattivi” commenta ancora Tonelli, sottolineando come questa misura costituisca un importante mezzo di tutela dell’attività delle Forze dell’Ordine dall’essere “condannati e poi prosciolti per fatti surreali“.

Tonelli non specifica quali siano i “fatti surreali” per i quali sono stati condannati gli agenti. Numerosi fatti di cronaca, tuttavia, sembrano suggerire come sia sempre più difficile tutelare la cittadinanza dall’eccesso di violenza delle Forze dell’Ordine, dal momento che anche quando le dinamiche dei fatti appaiono insindacabili i processi durano comunque anni, a causa della forte omertà che sembra vigere all’interno di certi contesti delle Forze dell’Ordine e di una generale tendenza a giustificare la violenza [4] quando messa in atto in un supposto contesto di disordine pubblico. A partire dal G8 del 2001 si possono snocciolare tutta una serie di casi di cronaca nei quali i soprusi erano evidenti, ma le condanne ai danni degli agenti sono risultate complesse da ottenere. Il caso di Stefano Cucchi può costituire un esempio per tutti: sono stati necessari 12 anni per giungere alla condanna dei colpevoli.

Inoltre in caso di eventi di grande portata gli agenti indossano caschi, scudi e bandane, il che li rende quasi del tutto irriconoscibili dall’esterno, motivo per il quale è spesso difficile per i cittadini individuare gli autori delle violenze: il caso di Paolo Scaroni, rimasto invalido al 100% dopo un pestaggio da parte dei poliziotti, costituisce un esempio per tutti. Per tale motivo l’Unione Europea ha sollecitato gli Stati membri ad acquisire il codice identificativo [5] per le forze di polizia: si tratta di un codice alfanumerico che permette un immediato riconoscimento dell’agente. Sono diverse le associazioni che richiedono che questa misura venga adottata anche in Italia: tra queste Amnesty International [6], che ricorda come in caso di grandi eventi siano le Forze dell’Ordine stesse a fare “uso sproporzionato della forza“. Tuttavia, i Governi italiani si sono mostrati refrattari all’adozione di tale misura, che trova l’opposizione del centro destra e dei sindacati di polizia. Una misura a tutela della cittadinanza che è stata, quindi, scansata.

Vi sono poi delle obiezioni di carattere oggettivo sull’effettiva utilità delle bodycam, in primo luogo data la diffusa disponibilità di video e immagini nel corso di eventi pubblici, prodotti dai telefoni cellulari o dalle telecamere di sorveglianza disposte ormai ovunque.

L’adozione delle bodycam si prefigura quindi come ulteriore strumento di tutela degli agenti, cui sembra essere sempre meno chiesto di rendere conto delle proprie azioni. La sicurezza dei cittadini, a quanto pare, viene solamente in secondo piano.

[di Valeria Casolaro]