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Libia, ora è ufficiale: le elezioni presidenziali non si faranno

Anche se il sospetto c’era ormai da alcune settimane, ora è ufficiale che il 24 dicembre non ci sarà alcuna elezione presidenziale in Libia. Lo ha confermato il 22 dicembre una Commissione Parlamentare, basandosi su un documento redatto il 20 dicembre. Nel testo si legge che l’Alta commissione elettorale, l’organo incaricato di supervisionare il voto, ha ordinato ai comitati elettorali di tutto il territorio nazionale di sciogliersi.

Le criticità hanno riguardato soprattutto i criteri di selezione dei candidati: nell’ultimo periodo se ne potevano contare quasi 100, tutti con qualche caratteristica non perfettamente in linea con l’ideale di Presidente che un Paese auspicherebbe di avere.

Numeri elezioni Libia

«Non sono un profeta, e non sono uno stregone, non sono in grado di dirvi cosa accadrà», aveva detto [1]il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, quando gli era stato chiesto un commento sulle probabilità di successo delle elezioni promosse dall’Onu. «Faremo di tutto per facilitare il dialogo e risolvere questioni che potrebbero essere viste come elementi di divisione in Libia», aveva concluso, dopo aver elencato una serie di problematiche importanti che in Libia si sarebbero dovute risolvere al più presto.

Cos’è andato storto questa volta?

Probabilmente molte cose. Prima fra tutte la strategia delle Nazioni Unite, che “nel forzare” le elezioni non hanno preso in considerazione alcuni fattori. L’Onu non ha ben tenuto in conto il fatto che l’essenza della Libia non si esaurisce nel Governo della parte Occidentale del Paese. O almeno non solo. La realtà è che la nazione è costituita da una moltitudine di milizie, correnti politiche e ideologie diverse, con notevoli differenze anche all’interno di movimenti islamisti vicini tra loro. In particolare sono proprio le milizie impegnate in Libia che hanno un enorme potere decisionale sul come le cose effettivamente devono andare. E trascurarle o non tenerne conto a dovere significa commettere un errore già in partenza. Come l’episodio di martedì, quando buona parte dei candidati doveva incontrarsi a Bengasi per discutere del processo elettorale, e dall’altra parte diversi gruppi armati rivali hanno bloccato le strade di Tripoli.

Affinché le strategie funzionino è doveroso capire che il panorama libico è molto differenziato [2]. Basta guardare la lista dei candidati. Tra loro c’era Abdul Hamid Dbeibah, primo ministro ad interim che durante la nomina da parte della comunità internazionale aveva promesso di non volersi candidare alla presidenza. E c’era anche un maresciallo, Halifa Haftar, che qualche mese prima aveva guidato le milizie alla conquista di Tripoli per ottenere il controllo su tutto il Paese. E c’era anche Saif Gheddafi, figlio di Muammar Gheddafi: [3] il candidato che era stato condannato a morte nel 2015 per crimini di guerra, salvatosi solo grazie a un’amnistia. La storia degli altri ipotetici futuri presidenti non è meno complessa o contorta. Motivo per cui la Commissione non ha mai definitivamente approvato la lista ufficiale dei nomi [4].

Sembra, alla fine, che la proposta dell’Onu di procedere con delle elezioni non abbia affatto smorzato le tensioni ma anzi, ne abbia inasprito le divisioni. Se è vero che alle Nazioni Unite va il merito del “cessate il fuoco” dell’ultimi periodo, non si può esultare allo stesso modo per una politica internazionale che sembra non conoscere bene il territorio su cui interviene. Non si sa come andranno le cose e se per una nuova data bisognerà solo aspettare qualche settimana. È certo però che l’ennesima crisi potrebbe scoppiare da un momento all’altro, mettendo contro le milizie nemiche. Proprio come è accaduto dopo le elezioni del 2014, quando le profonde divisioni portarono la Libia ad una guerra civile durata anni.

[di Gloria Ferrari]