- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Le Big Pharma non vogliono vaccinare i migranti per timore delle spese legali

Le aziende farmaceutiche distributrici dei vaccini anti-Covid hanno espresso preoccupazione riguardo la distribuzione delle dosi a migranti provenienti da Paesi con i quali non vi siano accordi sugli indennizzi in caso di effetti collaterali. Tutti i Paesi con i quali le bigpharma hanno stipulato contratti per la fornitura di vaccini prevedono clausole che sollevano l’azienda produttrice da ogni causa legale da parte di vittime di eventuali eventi avversi, e le multinazionali temono che vaccinando persone che hanno la cittadinanza di stati con i quali non vi è un accordo legale, queste potrebbero avere ragioni legali a rivalersi verso le aziende stesse. Un rischio che Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson e Astrazeneca non intendono correre in nessun modo, stando a quanto rivelato un’inchiesta pubblicata dall’agenzia Reuters [1], che ha analizzato i documenti interni di Gavi, ente di cooperazione mondiale che si occupa della distribuzione dei vaccini nei Paesi svantaggiati. Per questa ragione, milioni di profughi all’interno dei centri di accoglienza in tutto il mondo resterebbero esclusi dal programma vaccinale.

Che le aziende farmaceutiche tendessero a fare tutto il possibile per salvaguardarsi finanziariamente e legalmente era già stato reso evidente con la pubblicazione di alcuni dei contratti [2]stipulati con i singoli Stati. In fondo la sanità per esse è innanzitutto un business e la prima regola è sempre la stessa che vale in ogni settore del capitalismo: minimizzare i rischi, massimizzare i profitti. Nemmeno il Covax, il programma internazionale che mira a garantire un equo diritto all’immunizzazione nei Paesi svantaggiati, è esente da tali misure.

Le grandi aziende farmaceutiche richiedono infatti il pagamento di un indennizzo da parte dei governi con i quali vengono stipulati i contratti per i vaccini, con il fine di poter disporre di una copertura finanziaria in caso di azioni legali per gli effetti avversi. Quando questo non sia possibile, come nel caso di Paesi con governi instabili – specifica l’inchiesta della Reuters – a meno che le ONG non siano disposte a pagare per intero le eventuali spese legali, i vaccini potrebbero non essere resi disponibili.

In questo modo, milioni di profughi stipati in strutture di accoglienza in tutto il mondo molto probabilmente non avranno accesso al vaccino. D’altro canto, proprio per questi timori legali, sono meno di due milioni le dosi di vaccino consegnate sino ad ora al programma Covax. Questo dovrebbe costituire una sorta di “cuscinetto umanitario” al quale, in caso le ONG non possano supportare le spese legali, si può attingere solo se i distributori di vaccini accettano le responsabilità legali. Stando ai documenti forniti da Gavi, le aziende che hanno deciso di sostenere tale rischio forniscono meno di un terzo della dose totale dei vaccini al programma. I due terzi provengono da Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca, le quali hanno rifiutato di rilasciare commenti.

La riluttanza delle Big Pharma di assumersi i rischi legali costituisce un grosso ostacolo per l’approvvigionamento di dosi da parte di Covax e quindi un’equa distribuzione di vaccini nel mondo. La IFPMA, la Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche, ha cercato di aggirare la polemica affermando che nessuna azienda farmaceutica si è rifiutata di “prendere in considerazione il rischio legale”, ma che non fosse possibile farlo, nel caso dei vaccini assegnati a Covax, senza una previa conoscenza di come e dove i vaccini sarebbero stati usati. Operazione assai difficile da portare a termine se si parla della distribuzione di vaccini nei campi profughi. In una dichiarazione rilasciata a Reuters, l’IFPMA afferma che un aumento delle cause legali potrebbe condurre al rischio che “la sicurezza e l’efficacia del vaccino siano pubblicamente messe in discussione“. Una questione di soldi e di immagine quindi, prima che di contenimento dell’emergenza sanitaria.

[di Valeria Casolaro]