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Hyderabad, la città indiana dove si sperimenta il grande fratello digitale

Amnesty International sta lanciando un allarme: la capitale dello Stato indiano della Telangana, Hyderabad, si sta trasformando in un Grande Fratello fatto di telecamere a circuito chiuso che si interconnettono a strumenti di riconoscimento facciale, qualcosa che ricorda molto da vicino l’esempio ormai consolidato da anni dalla confinante Cina. La cosa preoccupa, ma non sorprende: il Governo indiano e le sue amministrazioni locali stanno sempre più esplicitamente puntando sulle nuove tecnologie per preservare il loro controllo sulla nazione.

Project Panopticon [1], organizzazione indiana partorita da uno stuolo di giovani preoccupati per la situazione, stima che l’area della Telangana sia quella meglio mappata dal face recognition istituzionale: la polizia regionale e quella di Hyderabad stanno accumulando foto dei cittadini con lo scopo formale di garantirne la sicurezza, mentre almeno altre tre istituzioni pubbliche fanno riferimento a dati biometrici per autenticare l’identità dei visitatori.

Stando al Digital Verification Corps, costola di Amnesty International, e alla Internet Freedom Foundation, organizzazione indiana per le libertà digitali, la situazione nella capitale avrebbe assunto toni smaccatamente invasivi, nonché un po’ “artigianali”. Denunce [2] affermano infatti che, nel pieno della pandemia, le Forze dell’Ordine andassero in giro a colmare i buchi dei loro registri scattando istantanee a passanti scelti casualmente, cosa che, se confermata, dimostrerebbe che il Governo Statale ha di fatto stracciato le leggi proposte nell’Identification of Prisoners Act [3] indiano, leggi che altrimenti vanno a limitare il diritto della polizia a fotografare i civili non sotto arresto. Ovviamente gli agenti avevano chiesto ai soggetti immortalati di togliere la mascherina sanitaria, in barba alle norme sanitarie.

L’implementazione poliziesca del riconoscimento facciale – in Oriente come in Occidente – solleva sempre la massima allerta, sia perché gli algoritmi che li normano risultano spesso flagellati da deficienze di natura progettuale, sia perché non è raro che le aziende che li commercializzano non si fregino di policy sui diritti umani, le quali sono invece ampiamente caldeggiate dalle linee guida [4] proposte al settore dalle Nazioni Unite. Le intelligenze artificiali che controllano i nostri volti risultano quindi adulterate dal Mercato ancor prima che dai Governi, quando poi finiscono a Governi la cui democrazia sta seguendo un «rapido declino [5]», i risultati sono deleteri.

L’Amministrazione Modi si è garantito leggi cucite ad hoc che permettono all’establishment di controllare ciò che è visibile o pubblicabile sulla Rete, il tutto con la compiacenza di Big Tech [6] che hanno deliberatamente ignorato o rivisto le proprie norme aziendali pur di garantirsi una fetta del ghiotto bacino di nuovi clienti digitali presenti nella popolosissima India. Tenendo conto che il Bharatiya Janata Party (BJP), il partito dominante, sia famoso per istigare la violenza sulle minoranze musulmane e, in particolar modo, sul gruppo etnico rohingya, la situazione non è certamente rosea, con il risultato che molti temono che le autorità andranno ad accanirsi ulteriormente su quei soggetti che sono già ora più vulnerabili o che sfrutti il riconoscimento facciale per identificare tutti coloro che osano contestare le politiche nazionali.

[di Walter Ferri]