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Etiopia, i ribelli Tigrè alle porte della capitale: cosa c’è da sapere sul conflitto

L’Etiopia, il secondo paese più popoloso dell’Africa, si trova ad affrontare una transizione politica sempre più complessa iniziata nel 2018, con l’ascesa del Primo Ministro Abiy Ahmed. Ad oggi appare improbabile che il conflitto, in corso dal novembre 2020 tra le forze governative leali ad Abiy e i ribelli del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (Tigray People’s Liberation Front – TPLF), si possa risolvere in maniera pacifica. A inizio settimana infatti le truppe del TPLF hanno dichiarato di avere conquistato la città di Shewa Robit, distante poco più di 200 km dalla capitale Addis Abeba. Nonostante il governo centrale non abbia confermato la notizia, il fatto che lunedì 22 novembre il Primo Ministro Abiy abbia dichiarato che avrebbe «raggiunto le sue troppe al fronte per guidarle alla vittoria», appare una conferma della situazione molto grave che stanno vivendo le forze governative. Anche il maratoneta etiope Haile Gebrsellasie (vincitore di 2 medaglie d’oro olimpiche e 8 titoli mondiali) avrebbe dichiarato [1], mercoledi 24 novembre, di essere pronto a scendere in guerra a fianco di Abiy contro i ribelli. Un’ulteriore indizio che gli scontri possano raggiungere la capitale Etiope arriva dagli inviti ai propri cittadini di lasciare il paese da parte di Francia, Germania, Stati Uniti e Regno Unito.

La fine del sistema etnofederalista

In gioco c’è la stabilità dello Stato e del sistema di federazione tra le maggiori etnie creato nel 1991, l’Etiopia infatti è composta da oltre 80 gruppi etnici e storicamente i vari governi si sono sempre trovati ad affrontare il difficile compito di rafforzare la stabilità del governo centrale cercando al contempo di garantire le autonomie locali. Inizialmente il governo di coalizione di Abiy sembrava potesse portare stabilità al paese, il Primo Ministro è stato addirittura insignito nel 2019 del Premio Nobel per la Pace per avere siglato un accordo con la vicina Eritrea inerente al conflitto occorso tra il 1998-2000 che aveva causato 100.000 morti, e che sino ad allora era ancora causa di tensioni e di frequenti schermaglie nelle zone di confine tra i due paesi. Un premio per la pace la cui assegnazione, dopo le dure repressioni messe in atto contro i ribelli del Tigrè, appare oggi decisamente fuori luogo.

Abiy, primo presidente della storia di etnia Oromo, era salito al potere nel 2018 con Il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (EPRDF) una coalizione politica etnopluralista formata da quattro partiti: Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF), Partito Democratico Amara (ADP), Partito Democratico Oromo (ODP) e Movimento Popolare Democratico dell’Etiopia del Sud (SEPDM). I quattro partiti rappresentavano infatti i maggiori gruppi etnici presenti nel paese [6]: gli Oromos (34,6 % della popolazione) gli Amharas (27,1%) i Somalis (6,2%) presenti principalmente nel sud del paese e i Tigrayans (6,1%). Il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope, grazie anche alle capacità militari del TPLF, era stato in grado di rovesciare la giunta militare che del 1974 governava l’Etiopia. L’ EPRDF ha poi dominato la politica etiope dal 1991 sino al suo scioglimento nel 2019. E proprio dallo scioglimento di questa coalizione e dalla creazione del Partito della Prosperità [7] da parte di Abiy, nel dicembre 2019, che le tensioni hanno cominciato a riemergere.

La rottura tra governo centrale e ribelli

Nel nuovo partito infatti sono confluiti solamente tre dei quattro partiti che facevano parte dell’EPRDF, Il Fronte di Liberazione Popolare del Tigrè (TPLF), partito che aveva assunto un ruolo dominante nell’ex EPRDF per 27 anni, è stato l’unico a non aderire. L’animosità tra TPLF e il nuovo Partito della Prosperità sono andate via via crescendo anche a seguito della decisione di Abiy di posticipare, a causa del Covid, le elezioni generali inizialmente previste per l’Agosto 2020. Elezioni che poi si sono tenute tra giugno e settembre del 2021 e che hanno visto una vittoria schiacciante da parte del Partito della Prosperità che si è aggiudicato 410 seggi su 436 [8]. Ma il boicottaggio da parte delle opposizioni, la guerra nella regione settentrionale del Tigrè (che ad oggi ha causato oltre due milioni di sfollati) e l’aumento delle tensioni etniche hanno minato la legittimità delle elezioni.

Il governo Abiy, che all’inizio del mandato aveva dato segni positivi, revocando il divieto di partecipare alle elezioni ai partiti di opposizione e rilasciando migliaia di prigionieri politici, potrebbe ora evolversi verso un regime autoritario. Ma anche la schiacciante maggioranza parlamentare poco può di fronte all’avanzata armata dei ribelli. Al momento non sembrano neppure bastare gli uomini e gli armamenti sui quali il governo di Addis Abeba può contare, recentemente rinforzati dall’acquisto di droni armati dalla Turchia [11]. Poche le informazioni che filtrano sulla realtà sul territorio, sia per quanto concerne l’aspetto militare sia su quello dei crimini di guerra e delle vittime civili [12]. Tuttavia la situazione è in costante evoluzione e per il governo pare volgere al peggio.

[di Enrico Phelipon]