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L’ecocidio è sulla buona strada per essere riconosciuto come crimine internazionale

Lo scorso giugno è stata elaborata una definizione giuridica del crimine di ecocidio, ed è stato richiesto che questo venga riconosciuto come crimine punibile dalla Corte Penale Internazionale (ICC) dell’Aja. In un momento cruciale come quello attuale, nel quale si fa sempre più pressante la necessità di trovare una soluzione alla crisi climatica, questo si configura come uno strumento di portata potenzialmente rivoluzionaria. Esso permetterebbe infatti di perseguire penalmente le aziende e i governi che si rendano consapevolmente responsabili di “gravi danni alla natura”. Sempre più Stati hanno iniziato in questi mesi una conversazione all’interno dei propri governi per l’introduzione di tale reato, ma la strada per un suo pieno riconoscimento rischia di essere ancora lunga e tortuosa.

Il reato di ecocidio [1] riguarda quegli “atti illeciti o sconsiderati commessi con la consapevolezza che ci sia una sostanziale probabilità che tali atti causino un danno grave e diffuso o a lungo termine all’ambiente”. La dicitura fissa con precisione la natura di comportamenti e decisioni che, prese ad alti livelli dai vertici delle industrie, della finanza e del governo, hanno conseguenze dannose per la salute del pianeta. Non è un crimine del quale si possano macchiare i comuni cittadini.

La dicitura definitiva è stata elaborata da un pool di avvocati ed esperti internazionali ed è stata resa pubblica lo scorso giugno, dopo sei mesi di lavori. Si tratta di un passo sostanziale verso il riconoscimento dell’ecocidio come crimine internazionale. È questo lo scopo primario dell’ONG olandese Stop Ecocide Foundation [2], la quale ha commissionato i lavori. Se questo dovesse accadere, le aziende e i governi più inquinanti del pianeta potrebbero ricevere una condanna penale e venire processati secondo le regole del diritto internazionale. Si tratta, se non altro, di uno strumento che può fungere da potente deterrente.

“Nonostante i progressi significativi, le leggi e i trattati esistenti si stanno dimostrando inadeguati a fornire la forte barriera necessaria per prevenire le cause profonde della crisi climatica ed ecologica globale” afferma Jojo Mehta [3], cofounder della Stop Ecocide Foundation, spiegando la necessità di rendere concreto tale reato. La definizione è stata elaborata affinché potesse fungere da riferimento per gli Stati: perché il reato diventi contestabile, infatti, ciascuno Stato membro dell’ICC dovrebbe includerlo anche nella propria legislazione domestica, così da renderlo “un nuovo reato grave con coerenza e applicabilità transfrontaliera“.

Nel novembre 2019 le isole Vanuatu e Maldive, vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, hanno chiesto agli Stati membri dell’ICC di aggiungere l’ecocidio ai quattro già esistenti reati internazionali (genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e aggressione). Da allora 14 Stati membri hanno cominciato a discutere della formulazione di questo crimine all’interno del proprio governo o Parlamento. La Francia, quest’estate, ha introdotto la Loi climat et résilience [4], la quale si impegna a perseguire “coloro che provocano un danno grave e duraturo alla salute, alla flora, alla fauna o alla qualità dell’aria, del suolo o dell’acqua”, dove con “duraturo” si intende “suscettibile di durare almeno dieci anni”. Le sanzioni previste arrivano sino a dieci anni di carcere. Altri Paesi come il Messico e il Cile hanno elaborato disegni di legge che configurano l’ecocidio come reato penale.

Si tratta di un mezzo potenzialmente determinante nella lotta ai grandi inquinanti [5] del pianeta. Tuttavia, le tempistiche giudiziarie sono molto lunghe e in molti Paesi (tra i quali l’Italia) tale discussione non è ancora iniziata. L’auspicio è che questo strumento possa entrare in azione nel più breve tempo possibile, e che i governi si dimostrino collaborativi al suo funzionamento.

[di Valeria Casolaro]