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I magnati Soros e Hoffman creano una società per favorire “la buona informazione”

Il 26 ottobre 2021, la stratega politica e giornalista Tara McGowan ha annunciato che guiderà la neonata Good Information Inc., una public benefit corporation che ambisce a foraggiare e sostenere un selezionatissimo gruppo di agenzie di stampa, così da combattere la minaccia della disinformazione. A finanziarla, tra gli altri,  Reid Hoffman, miliardario cofondatore di LinkedIn, e il sempre presente George Soros. Un nuovo tassello nei movimenti delle grandi corporation nel sempre più affollato mondo del “fact-checking” e del contrasto delle “fake news”.

Come abbiamo già fatto notare in passato [1], la gestione del cosiddetto “fact-checking” è frequentemente influenzata da pregiudizi di matrice economico-politica, tuttavia la creazione di Good Information Inc. è un esempio eclatante di come l’intento virtuoso del combattere le bufale possa essere deformato per asservirsi agli interessi di quei pochi che vantano già un potere immenso.

Nello specifico, l’azienda in questione è apertamente pensata ai fini di lucro, contesto che rende difficile il pensare che le sue funzioni possano essere ancorate a un alto ideale disinteressato e accademico. Il comunicato stampa [2] che ha annunciato la nascita dell’impresa ha dipinto la nuova realtà al pari di una guardiana della fiducia sociale e delle buone informazioni online. A febbraio, Vox [3] aveva già notato i movimenti dai facoltosi mecenati e si era spinta a ipotizzare che questa manovra fosse alimentata da circa $65 milioni. McGowan si è rifiutata di commentare l’illazione e non ha fornito alcuna cifra alternativa, omettendo qualsiasi forma di comunicazione finanziaria del gruppo.

Superando le eventuali opinioni che si possono avere nei confronti di Hoffman e di Soros, è importante comprendere l’incorniciatura della situazione: dei privati miliardari hanno istituito un’azienda che mira di fatto a ricoprire quel ruolo che un tempo toccava ai contributi pubblici ai giornali, ovvero garantire con le proprie finanze la pluralità dell’informazione. Il tutto attraverso un’azienda, importante ribadirlo, il cui scopo finale è accumulare soldi, con McGowan che si è affrettata a negare le voci di corridoio che suggerivano che il progetto avrebbe avuto una costola non-profit.

Sarebbe ovviamente ingenuo sostenere che i partiti non abbiano avuto un ascendente importante nel dettare la notiziabilità delle informazioni, così come sarebbe ingenuo affermare che imprenditori quali Silvio Berlusconi, Rupert Murdoch o Vincent Bolloré si siano avvicinati al mondo dell’informazione con spirito di volontariato: che il mondo del giornalismo sia caratterizzato da problemi sistemici è evidente, tuttavia privatizzare la definizione di “buona informazione” non pone rimedio alle numerose criticità, anzi le eleva alle loro estreme conseguenze.

Senza linee guida filosofiche, senza una valorizzazione elementare della deontologia, quel che resta a dettare il senso dell’informazione è la mera monetizzazione della stessa, diretta o indiretta che sia. Stiamo progressivamente passando da una logica di “verità” dominata dal Governo a una che invece viene gestita da multinazionali e corporazioni, evitando di risolvere le fragilità del sistema giornalistico in favore di un semplice cambio di padrone.

[di Walter Ferri]