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Il piano degli USA per la Siria è semplicemente continuare a destabilizzarla

Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken [1] ha affermato, durante una recente conferenza stampa, che non vi è alcuna intenzione da parte degli Stati Uniti di normalizzare i rapporti con la Siria ed il suo presidente Bashar al-Assad, fino a che non vi siano degli «evidenti progressi in direzione di una soluzione politica». Non si specifica quale sia la “soluzione politica” richiesta, ma tutto lascia intendere che secondo la casa bianca l’obiettivo sia sempre lo stesso che dieci anni di guerra non sono riusciti ad ottenere: la cacciata di Al-Assad. Nessuna intenzione di riconoscere il governo come legittimo e nessun piano per la cessazione delle controverse operazioni “anti-terrorismo” dietro le quali, secondo diverse fonti, si nasconde lo sfruttamento delle risorse petrolifere del paese.

Si tratta di un momento complesso per gli equilibri geopolitici statunitensi, in quanto diversi tra i loro alleati nei Paesi arabi stanno riaprendo la via del dialogo e della cooperazione con al-Assad, dopo l’isolamento perdurato durante gli anni di conflitto. Mentre a New York si svolgeva l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il ministro degli esteri egiziano incontrava quello siriano per la prima volta in dieci anni. A fine settembre la Giordania, storica alleata degli USA, ha riaperto la frontiera con la Siria per supportarne la ripresa economica. Accordi economici di futura cooperazione sono stati siglati tra lo Stato siriano e il ministro dell’economia degli Emirati Arabi Uniti. Questi ultimi hanno inoltre sottolineato come le indiscriminate sanzioni imposte dagli USA hanno reso complesso per la Siria, devastata da un decennio di guerra, rientrare nella Lega Araba. In questo contesto, Blinken ribadisce la linea d’azione americana, che punta sostanzialmente alla destabilizzazione del Paese. Si tratta, a tutti gli effetti, di una battaglia combattuta sul campo economico e politico.

L’ulteriore stretta sulla Siria (e sui Paesi terzi che ne supportano la ripresa) è giunta con il Caesar Act [2] del 2020, grazie al quale Washington ha impedito qualsiasi ricostruzione economica o sociale del Paese se non fossero prima avvenuti dei mutamenti sostanziali nella garanzia dei diritti umani. Si tratta a tutti gli effetti di un tentativo, da parte degli Stati Uniti, di riconquistare rilevanza in territorio siriano, rendendo impossibile la ricostruzione. A distanza di un anno le sanzioni imposte dal Caesar Act non hanno tuttavia portato i risultati sperati, trovandosi la Siria ancora in uno stato di conflitto. Andando a colpire, tra gli altri, anche il settore delle costruzioni e impedendo così di fatto la ricostruzione del Paese, le sanzioni hanno inoltre avuto un forte impatto in primo luogo sulla popolazione civile. Blinken ha sottolineato come, dall’inizio della presidenza Biden, vi sia stato un grosso impegno umanitario da parte degli Stati Uniti nei confronti della popolazione, ma è chiaro come questo offra solamente una soluzione temporanea e non definitiva a problematiche strutturali di ben altra portata.

È evidente che la strada dell’autodeterminazione siriana non è prevista dalle politiche degli Stati Uniti. Le elezioni presidenziali [3] tenutesi in Siria nel maggio di quest’anno hanno riconfermato il presidente al-Assad, con una percentuale straordinaria di partecipazione ai seggi. Il risultato è stato fortemente screditato dall’Occidente ed etichettato come illecito e non libero. Per quanto scendere nel merito della legittimità delle elezioni in un Paese fortemente instabile sia questione assai complessa, l’Occidente rinnova un atteggiamento già tenuto in varie occasioni in Medioriente. Il presidente Trump, d’altronde, non ha fatto segreto degli interessi statunitensi [4] in Siria (“I like the oil. We’re keeping the oil” erano state le sue affermazioni durante un’intervista). Nel 2020, inoltre, il ministro degli esteri siriano aveva denunciato l’esistenza di un patto tra una compagnia petrolifera americana e e un gruppo di ribelli curdi che controllavano le riserve petrolifere del nord-est del Paese, in un tentativo di sottrarre illegalmente [5] il petrolio siriano. L’amministrazione Biden è subito corsa ai ripari [6] cercando di prendere le distanze dalle affermazioni di Trump e negando lo sfruttamento del territorio siriano per l’estrazione del petrolio, affermando che la propria presenza è finalizzata alla difesa da eventuali attacchi ISIS. Tuttavia bisognerà attendere prima di capire se la linea politica di Biden si muove in una direzione effettivamente differente.

[di Valeria Casolaro]