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La normativa italiana sul Green Pass contravviene le regole europee?

La normativa italiana sul Green Pass sembra essere, a primo impatto, in contraddizione con quanto stabilito dal regolamento europeo n. 935/2021, [1]il quale definisce il quadro giuridico per il rilascio, la verifica e l’accettazione del certificato verde, inteso come uno strumento in grado di «facilitare la libera circolazione durante la pandemia da Covid-19».

In tal senso, principalmente a far nascere alcune perplessità sono i punti 14 e 36 del regolamento. Nel primo, si afferma il principio per cui il Green Pass «non dovrebbe essere inteso come un’agevolazione o un incentivo all’adozione di restrizioni alla libera circolazione o ad altri diritti fondamentali, in risposta alla pandemia». Nel secondo, invece, viene affermata la necessità di «prevenire la discriminazione diretta o indiretta nei confronti degli individui che non sono vaccinati» compresi coloro che, benché non impossibilitati, hanno semplicemente «scelto di non farsi vaccinare». In tal senso, si legge ancora, «il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo di vaccinazione».

Sono tali principi, dunque, che portano a pensare che vi possa essere una contrapposizione tra tale regolamento ed il modo in cui il Green Pass viene attualmente utilizzato nella nostra nazione. Innanzitutto, infatti, la discriminazione nei confronti degli individui non vaccinati sembra essere presente, quantomeno indirettamente, in Italia. In tal senso, mentre chi sceglie di sottoporsi al vaccino anti Covid non deve personalmente sostenere alcuna spesa per ottenere il Green Pass, per chi decide di ottenerlo tramite il tampone la questione è ben diversa. A tal proposito, seppur dal 15 ottobre verranno introdotti i tamponi gratuiti per chi non si può vaccinare, per tutti gli altri saranno ancora pagamento. Ed anche se i test antigenici rapidi avranno un prezzo calmierato (8 euro per i minorenni e 15 euro per i maggiorenni), ciò darà comunque luogo ad una neanche tanto celata disparità di trattamento tra chi decide di sottoporsi al siero e chi si rifiuta, legittimamente, di farlo.

Di scelta legittima infatti si tratta, dato che al momento in Italia non è presente alcun obbligo (se non per i sanitari) di vaccinarsi contro il coronavirus. In tal senso, come previsto dall’articolo 32 [2] della Costituzione, «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», la quale appunto al momento non vi è. E a tal proposito la tesi da alcuni sostenuta [3], secondo cui tale articolo sarebbe aggirato dal lasciapassare sanitario in quanto esso obbliga surrettiziamente i cittadini a vaccinarsi, sembra non essere totalmente errata alla luce della sopracitata differenza di trattamento. Ciò determinerebbe però una contrapposizione non solo nei confronti dell’articolo 36 del regolamento europeo, che come detto prevede che esso non possa giustificare l’istituzione di «un diritto o un obbligo di vaccinazione», ma appunto anche nei confronti dell’articolo 32 della Costituzione. Ad ogni modo però, se anche non si volesse considerare fondata l’ipotesi dell’obbligo de facto, il contrasto con l’articolo 36 vi sarebbe comunque dato che, come detto, esso impone la non discriminazione, diretta o indiretta, dei non vaccinati.

Infine, per ciò che concerne il sopracitato punto 14 del regolamento, va detto che in Italia le restrizioni introdotte sembrano essere in contrasto con alcuni diritti fondamentali della nostra Costituzione. L’obbligatorietà del lasciapassare, come ormai è noto, è stata infatti estesa non solo all’accesso a determinati servizi o attività, ma anche, tramite apposito decreto legge [4], agli studenti universitari ed al personale scolastico e universitario. Ciò induce a ipotizzare che vi possa essere un contrasto con determinati articoli della Costituzione come ad esempio il secondo, [5]che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, alcuni dei quali adesso sembrano appunto essere subordinati al possesso del certificato verde.

Per questi motivi, dunque, abbiamo chiesto delucidazioni in merito all’Unione europea tramite l’Europe Direct, il servizio messo a disposizione dalla stessa per entrare in contatto con essa. Tuttavia, dalla risposta che ci è stata data emerge che l’UE in pratica sostenga che non vi sia alcuna contraddizione tra quanto stabilito dal regolamento europeo e dalla normativa italiana. Ciò poiché, nello specifico, «l’uso nazionale dei certificati Covid-19 per altri scopi, quali l’accesso a eventi o luoghi di ritrovo, non rientra nel campo di applicazione del diritto dell’UE» e «quando gli Stati membri decidono di utilizzare i certificati Covid-19 per altri scopi, ciò deve essere previsto dal diritto nazionale».

Ad ogni modo però, pur volendo giudicare fondata la tesi dell’UE, i dubbi sulla legittimità dell’utilizzo che in Italia si sta facendo del Green Pass permangono ugualmente. Come ricordato, infatti, ciò che genera perplessità nei confronti della normativa italiana non è solo l’ipotetico contrasto con il regolamento europeo ma anche, e soprattutto, la apparente contrapposizione nei confronti della nostra Costituzione, la quale resta possibile a prescindere dal fatto che il Green Pass in salsa italiana sia, o meno, realmente inconciliabile con la normativa europea.

[di Raffaele De Luca]