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Tribunale di Roma: via libera a sospensione senza retribuzione per lavoratori non vaccinati

I dipendenti che decidono di non sottoporsi al vaccino anti Covid e che non possono essere destinati ad altre mansioni, rischiano di essere sospesi dalla propria attività lavorativa e conseguentemente dalla retribuzione. È quanto emerge dalla recente sentenza [1] n. 18441/2021 del Tribunale di Roma, con la quale è stata giudicata legittima la decisione di un’azienda che ha congelato il rapporto di lavoro di una donna volontariamente non sottopostasi al siero.

Nello specifico la lavoratrice, a cui non era stato possibile trovare un impiego differente, era stata sospesa dal lavoro e dallo stipendio a decorrere dal primo luglio scorso fino alla cessazione delle limitazioni per la pandemia o ad un eventuale giudizio di revisione di idoneità. Infatti, in seguito alla visita medica aziendale ella era risultata «idonea con limitazioni» non solo a causa dei problemi a sollevare carichi maggiori o uguali a 7 chili ma, appunto, per il non poter stare a contatto con la clientela non essendo vaccinata. Tuttavia, la donna ha successivamente promosso il ricorso in questione sostenendo che la decisione del datore di lavoro costituisse un «provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione». Tesi a cui, però, il Tribunale si è schierato contro stabilendo che non si tratta di una sanzione disciplinare ma, «stante la parziale inidoneità alle mansioni», di un provvedimento di sospensione doveroso.

Nella sentenza si legge che il datore di lavoro è «obbligato a sospendere in via momentanea il dipendente dalle mansioni a cui è addetto ai sensi dell’art. 2087 del Codice civile [2]». Quest’ultimo, infatti, prevede che l’imprenditore è tenuto ad adottare le misure «necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro». Ma questa non è l’unica motivazione alla base della sentenza, nella quale si fa riferimento anche all’articolo 20 del decreto legislativo n. 81/2008 [3], in base al quale «ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro».

Infine per ciò che concerne la sospensione dello stipendio il tribunale, richiamando la giurisprudenza in merito, ricorda che se il medico competente non giudica idoneo il dipendente a svolgere le prestazioni lavorative, e vi è dunque la «conseguente legittimità del rifiuto del datore di lavoro di riceverle», allora quest’ultimo non è nemmeno «tenuto al pagamento della retribuzione».

Detto questo, non si tratta di certo della prima decisione a favore della sospensione dal servizio e dalla retribuzione dei lavoratori non vaccinati. Anche il Tribunale di Modena ha recentemente emesso una sentenza [4] simile, anch’essa basata sulle norme sopracitate nonché sulla direttiva dell’Unione europea [5], che nel giugno 2020 ha incluso il SARS-CoV-2 tra gli agenti biologici contro i quali è necessario tutelare gli ambienti di lavoro. Inoltre pure i giudici del tribunale di Belluno e di Verona erano precedentemente arrivati a conclusioni del genere. Non si tratta più, quindi, di un singolo precedente giuridico: l’orientamento dei Tribunali italiani, destinato senza dubbio a far discutere, è ormai chiaro.

[di Raffaele De Luca]