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Via della Seta, Uiguri e Covid: dal G7 emergono le direttrici per contrastare la Cina

Era ormai già chiaro ma ora diviene praticamente ufficiale: è iniziata la Guerra Fredda contro la Cina. Il G7 che si è tenuto in Cornovaglia [1], in Gran Bretagna, ha avuto la Cina come oggetto principale di discussione dichiarandola incompatibile con il modo di vivere e i valori delle grandi potenze: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Giappone. Sebbene ci si affretti a dire, come Macron, che «il G7 non è un club anti-cinese», il documento finale cita la Cina come pericolo per la sicurezza mondiale. Al vertice sono state denunciate le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang come ad Hong Kong, oltre al riferimento alla necessità di «stabilità nello stretto di Taiwan». Inoltre è stata annunciata la creazione di un programma parallelo alla Belt and Road Initiative cinese e l’intenzione di procedere con una nuova inchiesta in Cina circa l’origine del virus Sars-Cov2.

Queste sono le direttrici su cui si muoveranno le potenze mondiali per affrontare la Cina. Ciò risulta essere il totale all’allineamento al volere statunitense. Vi avevamo infatti già parlato di come gli USA avessero programmato la strategia di contenimento e offensiva anti-cinese, rivelata con il documento Strategic Competition Act [2]. Il documento delinea la Cina come competitor globale principale ed espone la strategia da adottare per contrastare la prepotente ascesa del gigante asiatico, annotando i pericoli che la Cina e il suo modello economico-politico rappresenterebbero per gli USA e alleati, tanto nella sfera geopolitica e geostrategica quanto nella sfera economica e finanziaria, oltre che nel campo tecnologico, digitale e dell’informazione. La Belt and Road Initiative è vista come lo strumento maggiore che la Cina sta adoperando per implementare la sua influenza mondiale.

In merito a quest’ultimo punto, il G7 ha deciso di avviare un programma alternativo alla Via della Seta, la Western Belt and Road [3], così da sottrarre dall’influenza cinese i paesi che ne sono interessati. I leader hanno convenuto di aiutare i paesi più poveri con un mix di politiche economico-finanziarie e infrastrutture strategiche che però, al netto della propaganda mediatico-politica, sarà di maggior interesse per le potenze del G7 anziché di quei paesi che adesso si troveranno nel fuoco incrociato delle mire cinesi e occidentali. Gli USA a guida Biden, stanno cercando di proporre all’Europa una strategia credibile con cui sfidare il modello capitalista di Stato cinese con un piano di rimodulazione delle catene di approvvigionamento che crei svantaggio alla Cina e che rimetta in moto l’economia capitalista occidentale (già esposto nello Strategic Competition Act).

La situazione di Hong Kong e la violazione dei diritti umani sul popolo Uiguri, come anche la politica cinese su Taiwan, saranno al centro di pressioni diplomatiche internazionali alimentate e spinte dalla propaganda mediatica [4]. Su Taiwan si giocherà anche con l’esposizione della forza militare nel quadro della questione dell’influenza cinese sui mari, in particolar modo il Mar Cinese Meridionale, e su tutta la regione dell’Indo-Pacifico.

La Cina ha ufficialmente denunciato [5] la posizione assunta dai leader del G7, tramite il proprio ambasciatore nel Regno Unito, affermando che: «Il G7 sfrutta le questioni relative allo Xinjiang per dedicarsi alla manipolazione politica ed interferire negli affari interni della Cina, ci opponiamo fermamente a questo».

Anche la nuova posizione assunta dalla narrazione dominante sulle origini del Sars-Cov2 lascia presagire azioni diplomatiche nei riguardi della Cina che, adesso, sembra essere il capro espiatorio perfetto a cui addossare le colpe inerenti la pandemia globale. In merito a questo la Cina aveva già ammonito gli USA [6] dicendo di guardare ai propri laboratori, come quello di Fort Detrick – chiuso nell’agosto del 2019 ed in cui, nel corso degli anni, si sono già verificati incidenti – paragonando la campagna accusatoria in merito al Covid-19 alle bugie statunitensi sull’Iraq e le armi di distruzione di massa.

Nel frattempo, quest’oggi, si è aperto il summit NATO [7]. «La Nato è importantissima e se non ci fosse la si dovrebbe inventare», ha detto il Presidente Usa nel suo incontro con il Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg. Biden ha poi elogiato ed enfatizzato l’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza (che impegna gli aderenti a difendere chi è attaccato, in un sistema di mutua difesa), definito «sacro obbligo», spiegando come lo si dovrebbe applicare anche per la questione inerente i cyberattacchi. Per la NATO, oltre allo storico rivale, la Russia, si aggiunge ufficialmente anche la Cina – e la sua potenza militare – come «sfida sistemica alla sicurezza atlantica».

Gli Stati Uniti hanno ufficialmente assunto la testa della battaglia contro la Cina compattando gli alleati sottoposti dopo che la politica trumpiana aveva assunto caratteri ostili nei confronti dell’Europa. Secondo Biden, dunque, occorre un fronte occidentale unito per poter fermare l’ascesa cinese e sconfiggere il gigante asiatico.

[di Michele Manfrin]