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La Siria prova a ripartire confermando Assad, ma l’Europa continua con le sanzioni

La Siria cerca di rinascere dopo le elezioni presidenziali che hanno confermato Al Assad alla guida del Paese. Nonostante le condizioni in cui versa la nazione, con infrastrutture distrutte e milioni di emigrati, e nonostante molte ambasciate siriane all’estero avessero chiuso i battenti, le elezioni hanno visto una sorprendente affluenza del 78,64%. Secondo i dati del ministero degli Interni siriano il 95,1% ha votato per Basher-Al Assad, che si appresta quindi ad iniziare il suo quarto mandato come presidente del paese.

La Siria è vessata da una guerra [1] che prosegue dal 2011 e che ha causato quasi 400 mila vittime e 11 milioni di profughi. Il paese è invaso da ogni genere di forza militare: soldati occidentali, israeliani, turchi, russi, jihadisti, ribelli delle più varie specie. Lanciarsi in analisi sul voto è un gioco complicato, ma può non sorprendere come in questo caos del quale il Paese è vittima da dieci anni i siriani si appoggino alla figura che rappresenta quanto rimane dell’unità della nazione. Quella che sta cercando, in buona parte riuscendoci, di tenere insieme il Paese nonostante tutto. Assad promette, insomma, che la Siria continuerà ad esistere, e contando che a contrastarlo ci sono movimenti foraggiati da paesi esteri che hanno il solo interesse di spartirsene le ricchezze, non è una promessa da poco.

Assad non è stato l’unico a rinnovare la sua carica questo lunedì 26 maggio. A venire rinnovate sono state anche le sanzioni europee contro la Siria. Come sempre in questi casi, si tratta di sanzioni di natura economica che servirebbero a colpire il regime siriano ma che di fatto pesano moltissimo sulla popolazione (che dall’altra parte è ipocritamente vittimizzata proprio in Occidente). A causa di queste pesanti sanzioni, molti siriani in questo momento hanno accesso all’elettricità soltanto per un paio di ore al giorno, e prodotti di base come il latte spesso e volentieri scarseggiano. Nel frattempo, i soldati americani (900 ancora sono presenti sul territorio siriano) privano la popolazione locale di risorse importantissime come il petrolio.

In questo contesto, se aggiungiamo poi il collasso del vicino Libano, l’isolamento della Siria e il generale declino economico, si inserisce Assad. Ovviamente, Assad è un nemico dell’Occidente. Le elezioni sono state più o meno normali, per quanto possano esserlo delle consultazioni organizzate in uno stato che da ormai 10 anni è in guerra e nel quale intere porzioni del territorio sono in mano a potenze straniere [1]: dagli americani che controllano le zone del nord più ricche di giacimenti petroliferi, ai turchi che sono avanzati nel Kurdistan siriano. Tuttavia le foto delle manifestazioni oceaniche di Damasco come le file dei siriani profughi presso le ambasciate estere mostrano un’effettiva affluenza molto alta. La strategia dell’Occidente però è stata quella di screditare le votazioni a prescindere. L’Italia stessa ha mostrato il suo dissenso, soprattutto rispetto alla mancata collaborazione siriana alla proposta delle Nazioni Unite di porre le elezioni sotto supervisione internazionale. Ma a mettere in cattiva luce l’evento sono stati anche Germania, Francia, Regno Unito, Turchia e ovviamente gli Stati Uniti. Le elezioni siriane sono state dipinte come illegittime, come né libere né democratiche, addirittura come una farsa.

Screditare le scelte politiche per cercare di influenzarle a proprio favore è qualcosa che l’Occidente fa da molto tempo, soprattutto in Medioriente. Non sorprende quindi che la vittoria di Assad abbia suscitato così tanto sdegno.

[di Anita Ishaq]