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Trasformare il 30% del pianeta in area protetta non è per forza una buona idea

Dal 17 al 30 maggio 2021, a Kunming in Cina, si terrà il vertice della Convenzione sulla diversità biologica dove i principali leader delle potenze mondiali si accorderanno per trasformare il 30% della terra in «aree protette» entro l’anno 2030. Secondo le organizzazioni a favore del progetto, la conversione limiterà i cambiamenti climatici, ridurrà la perdita della fauna selvatica, aumenterà la biodiversità, salvaguarderà gli ecosistemi e di conseguenza salverà il nostro pianeta.

Ma la realtà potrebbe essere diversa, non tenendo conto dei potenziali rischi verso le popolazioni indigene. Secondo Survival International [1], la “Convention” è una «grande bugia verde» poiché le così dette «aree protette» – previste soprattutto in Africa, Asia e Sud America – non salveranno il nostro pianeta, daranno solo modesti risultati nella salvaguardia della biodiversità e non avranno alcun impatto reale sulla mitigazione dei cambiamenti climatici. Risultati modestissimi, per conseguire i quali – denuncia l’associazione che si occupa di salvaguardare i diritti dei popoli indigeni – si rischia una grande violazione dei diritti umani e il più grande accaparramento di terreni della storia, che potrebbe ridurre circa 300 milioni di persone a vivere senza terra e quindi in estrema povertà. I popoli indigeni che abitano in queste zone verranno cacciati dalle loro terre perché si possa attuare in realtà un modello coloniale ispirato alla creazione dei primi parchi nazionali degli Stati Uniti che nel 19° secolo furono realizzati nelle terre sottratte ai Nativi Americani, è la denuncia di Survival International.

I popoli indigeni sono importantissimi per l’ecosistema in cui vivono [2], poiché la conoscenza della loro terra e il loro stile di vita li rendono i migliori custodi del territorio. Circa 80% della biodiversità del pianeta si trova in territori asiatici, africani e sudamericani, dove le popolazioni autoctone ottengono risultati di conservazione pari, se non migliori, di qualsiasi programma convenzionale e ad un costo molto inferiore dei 140 miliardi di dollari l’anno previsti per finanziare il progetto. L’obiettivo della trasformazione del 30% dei territori in aree protette, risulterebbe quindi inutile e dannoso a meno che non vengano implementate inattaccabili misure di tutela per i popoli indigeni e per le altre comunità locali, da applicarsi in tutte le aree previste, nuove o già esistenti. I diritti territoriali dei popoli indigeni e tribali devono essere rispettati, per ottenere la modifica della proposta Survival International ha organizzato una petizione popolare [3].

[di Federico Mels Colloredo]