Secondo le grandi aziende promotrici dell’intelligenza artificiale, i chatbot avrebbero dovuto offrire agli utenti un accesso imparziale e universale al sapere, una sorta di verità assoluta capace di inglobare l’intero scibile umano. Nella realtà, però, questi sistemi continuano a riflettere i bias presenti nei dati con cui vengono addestrati e risentono degli interessi di chi li sviluppa e li controlla. Tuttavia, il quadro potrebbe presto peggiorare: OpenAI starebbe valutando di calibrare ChatGPT affinché dia maggiore priorità alle opinioni e ai messaggi degli inserzionisti.
L’indiscrezione è emersa grazie a The Information [1], testata che ha rivelato come all’interno dell’azienda sia in corso un dibattito su come introdurre un vero e proprio “trattamento preferenziale” per i contenuti sponsorizzati. Considerando quante persone si rivolgono impropriamente all’IA per ottenere pareri medici, politici o psicologici, è facile intuire quanto sia rischioso permettere al miglior offerente di influenzare la forma e la sostanza delle risposte fornite da questi sistemi.
Nonostante i rischi, il report descrive un clima aziendale in cui la discussione ruota attorno a come introdurre contenuti a pagamento senza però alienare gli utenti. OpenAI ha modellato il suo chatbot come il simulacro di un cicisbeo, come una presenza compiacente e accondiscendente, capace di avviluppare gli utenti in fitti scambi testuali; proprio per questo, l’azienda teme che un’integrazione troppo invasiva della pubblicità possa compromettere l’esperienza costruita finora, spingendo gli utenti a voltare le spalle al servizio.
Che OpenAI intendesse introdurre inserzioni nei risultati di ChatGPT era già emerso a inizio dicembre, quando alcuni osservatori hanno iniziato a notare [2] nell’app Android del servizio la comparsa di nuove linee di codice che facevano riferimento a una funzione pubblicitaria in fase di test. Le ragioni di questa svolta sono piuttosto evidenti: pur cercando con ogni mezzo di trasformarsi da organizzazione no‑profit a realtà pienamente commerciale, il modello di business dell’azienda rimane profondamente in perdita. Secondo documenti finanziari citati da The Register [3], OpenAI avrebbe bruciato almeno 11,5 miliardi di dollari nel solo trimestre luglio‑settembre del 2025. La strategia aziendale punta d’altronde a una crescita estremamente aggressiva che, nelle previsioni più rosee [4] della dirigenza, continuerà a generare perdite almeno fino al 2028.
Si tratta di una strategia ormai consolidata nel settore tech: ampliare rapidamente la base dei propri utenti offrendo prodotti e servizi digitali sottocosto e, una volta conquistata una posizione dominante, iniziare a ridimensionare la qualità o la convenienza dell’offerta. È accaduto con il motore di ricerca Google, sempre più saturo [5] di contenuti “sponsorizzati”, e con i principali servizi di streaming, i quali si proponevano [6] originariamente come alternativa economica e priva di pubblicità alla TV via cavo, salvo poi abbandonare completamente quella promessa in favore di abbonamenti più costosi e dell’introduzione di inserzioni. Si tratta di un decorso tanto comune da essersi meritato un neologismo: “enshittification”, ovvero la “merdificazione” dei servizi.
OpenAI si trova però davanti a un ostacolo evidente: pur godendo oggi di un vantaggio competitivo, non ha ancora raggiunto quel livello di potere che le permetterebbe di trattare con leggerezza i propri utenti. Al contrario, la dirigenza avrebbe persino diramato [7]un “codice rosso” per i rischi posti dalla concorrenza. Un’analisi opinionistica del Wall Street Journal [8] diventata rapidamente virale sostiene che la strategia dell’azienda consista nel diversificare massicciamente i propri investimenti fino a diventare un ingranaggio essenziale dell’economia statunitense. Che l’obiettivo sia il raggiungimento del “too big to fail”, del diventare troppo importante per essere lasciata fallire.. A quel punto, in caso di crisi, OpenAI potrebbe chiedere una mano ai governi per evitare il collasso, ricalcando quanto avvenuto nel 2008 con il salvataggio degli istituti finanziari.