BETLEMME, PALESTINA OCCUPATA – Il Natale è tornato a Betlemme, dopo due anni in cui le autorità locali avevano deciso di sospendere le celebrazioni in solidarietà alla popolazione palestinese della Striscia. Uno dei luoghi simbolo dell’identità cristiana, dove nacque Gesù Cristo, è tornato a risplendere in questi giorni, dopo due anni di buio, dove l’assenza di fedeli e turisti pesa enormemente sull’economia cittadina. Sono centinaia le persone che si sono radunate la sera del 24 dicembre nella piazza della Mangiatoia, davanti la Basilica della Natività, dopo una processione per le vie della città. Un concerto dal vivo, banchetti, e un enorme albero di Natale ha accompagnato i credenti riuniti per celebrare il Natale per la prima volta dall’inizio dal ottobre 2023. Un’evento che accende la luce sulla comunità palestinese di religione cristiana, circa 50.000 persone che da secoli vivono in pace con la comunità musulmana ed oggi soffrono, come tutti i palestinesi, le violenze della polizia e dei coloni israeliani, che non si sono placate nemmeno nei giorni del Natale.
Nella messa di mezzanotte, il cardinale Pierbattista Pizzaballa – patriarca latino di Gerusalemme – ha portato i saluti della piccola e assediata comunità cristiana di Gaza, dove pochi giorni prima aveva celebrato una messa prenatalizia tra le rovine. Ha parlato di una Gaza devastata dalla guerra dove ha affermato che «la sofferenza è ancora presente» nonostante il cessate il fuoco. Rivolgendosi a migliaia di palestinesi, sia cristiani che musulmani, ma anche ai fedeli di tutto il mondo, Pizzaballa ha affermato che il messaggio del Natale di quest’anno è inseparabile dalla sofferenza e dalla resilienza. «Abbiamo deciso di essere la luce – ha detto – e la luce di Betlemme è la luce del mondo».
Parole di speranza che stridono con la realtà che ancora i palestinesi sono costretti a vivere. Solo per arrivare a Betlemme da Ramallah, un tragitto di appena 27 chilometri, ci abbiamo messo più di due ore e mezzo, a causa dei vari posti di blocco militari israeliani, che rendono gli spostamenti molto difficili. La guerra e le restrizioni imposte da Israele hanno paralizzato l’economia di Betlemme, dove circa l’80% dei residenti dipende dal turismo, che è quasi scomparso. Le limitazioni alla mobilità, la quasi assenza dei pellegrinaggi, ha fatto salire la disoccupazione dal 14% al 65%, trasformando la sopravvivenza quotidiana in una lotta. Secondo i dati riportati dal sindaco della città, Maher Nicola Canawati, in questi due anni di guerra di genocidio circa 4.000 persone hanno lasciato Betlemme in cerca di lavoro. Su una popolazione di 32.000 abitanti rappresenta il 12,5% di cittadini emigrati in appena tre anni.
La realtà di Betlemme resta tuttavia tra le migliori nell’insieme delle città palestinesi della Cisgiordania, dove incursioni, arresti, distruzioni di proprietà sono quotidiani. Anche per le comunità cristiane presenti sul territorio. Il Natale di quest’anno ha riportato qualche migliaio di turisti e di credenti nella città sacra, ancora troppo pochi per risollevare anche minimamente la deteriorata economia del territorio. Oggi, il viaggio di ritorno a Nazareth da Betlemme di Maria, Giuseppe e Gesù bambino sarebbe impossibile per una famiglia palestinese. Un muro divide le due città, insieme a check-points, cancelli, e militari israeliani.
Una comunità cristiana sotto attacco
[1]«Da Gerusalemme invio saluti agli amici cristiani i tutto il mondo» dice Benjamin Netanyahu in un video [2] pubblicato ieri. «Qui, dalla terra santa, Israele. Il solo stato del Medio Oriente dove la comunità cristiana sta prosperando. Il solo stato dove i cristiani possono celebrare la loro fede con pieni diritti e totale libertà. Dove i pellegrini cristiani sono accolti a braccia aperte, dove possono celebrare propriamente le loro tradizioni, apertamente e senza paura». Un messaggio, quello del primo ministro israeliano, in totale contraddizione con la realtà che vivono i circa 50mila cristiani residenti in Palestina Occupata.
Un tempo comunità fiorente, secondo il censimento del 2017, il numero dei cristiani che vivono nella Cisgiordania occupata, a Gerusalemme Est e a Gaza è ora inferiore a 50.000, pari a circa l’1-2% della popolazione. All’inizio del XX secolo, i cristiani costituivano circa il 12% della popolazione. Tuttavia, l’occupazione illegale della Cisgiordania da parte di Israele ha messo sotto pressione le comunità, creando difficoltà economiche e privandola delle condizioni necessarie per vivere sulla propria terra, spingendo molte famiglie a cercare una vita più stabile all’estero. La maggior parte dei cristiani palestinesi vive in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, per un totale di circa 47.000-50.000 persone, a cui se ne aggiungevano altre 1.000 a Gaza prima della guerra.
[3]La vita dei cristiani in Palestina è la stessa che soffrono tutti i palestinesi. Nei giorni precedenti, nella città settentrionale di Haifa, in Israele, i momenti di festa nel quartiere cristiano palestinese di Wadi al-Nisnas sono degenerati nel caos quando la polizia israeliana ha fatto irruzione nella zona [4], arrestando e picchiando i residenti, secondo quanto riportato da filmati e testimonianze oculari condivisi online. Nei video [5] si vede un uomo – palestinese – vestito da Babbo Natale venire spinto a terra e ammanettato dalla polizia israeliana, insieme a un DJ e a un venditore ambulante. Le famiglie che si preparavano al Natale sono state accolte con la forza e gli arresti in un incidente che riflette la routine di persecuzione delle comunità palestinesi, anche durante le festività religiose.
In tutta la Palestina le comunità cristiane e le loro chiese hanno subito numerosi attacchi da parte delle forze israeliane e di membri della popolazione israeliana. Il Religious Freedom Data Center [6] (RFDC) ha monitorato le violenze contro i cristiani attraverso una hotline gestita da volontari e attivisti; tra gennaio 2024 e settembre 2025, il gruppo ha documentato almeno 201 episodi di violenza contro i cristiani, commessi principalmente da ebrei ortodossi che prendevano di mira il clero internazionale o individui che esibivano simboli cristiani. Questi incidenti comprendono diverse forme di molestie, tra cui sputi, insulti, atti di vandalismo, aggressioni e altro ancora. La maggior parte (137) di questi incidenti ha avuto luogo nella Città Vecchia di Gerusalemme, situata nella Gerusalemme Est occupata, luogo sacro per ebrei, musulmani e cristiani.
[7]Secondo un’inchiesta [8] di Al Jazeera, nel 2025, le comunità cristiane nella Cisgiordania occupata hanno dovuto affrontare sia un allarmante aumento della violenza da parte di coloni e militari, sia una crescita esponenziale di sequestri di terreni di loro proprietà. Il mese scorso, nella città prevalentemente cristiana di Beit Sahour, ad est di Betlemme, i coloni israeliani sostenuti dall’esercito hanno raso al suolo con i bulldozer la storica collina di Ush al-Ghurab per costruire un nuovo avamposto illegale. A Taybeh, città prevalentemente cristiana della Cisgiordania, l’antica chiesa di San Giorgio è stata presa di mira da piromani nel mese di luglio. A giugno, un gruppo di israeliani è stato filmato mentre attaccava il monastero armeno e i luoghi sacri cristiani durante un raid nel quartiere armeno della Città Vecchia di Gerusalemme Est, che è stato oggetto di numerosi attacchi.
Nel mentre, a Gaza, le bombe israeliane hanno raso al suolo luoghi di culto, chiese, rifugi dove la piccola comunità cristiana si stava rifugiando. Secondo un rapporto di Open Doors, circa il 75% delle case di proprietà di cristiani a Gaza sono state danneggiate o distrutte. Il 19 ottobre 2023, le forze israeliane hanno attaccato la più antica chiesa greco-ortodossa di San Porfirio a Gaza, uccidendo almeno 18 sfollati, tra cui molti bambini. La chiesa, che fungeva da rifugio multiconfessionale per centinaia di civili, era stata costruita nel 1150, ed era il più antico luogo di culto attivo di Gaza. Le forze israeliane hanno anche attaccato ripetutamente la Chiesa della Sacra Famiglia, l’unica chiesa cattolica romana di Gaza, che da tempo fungeva da rifugio per la comunità cristiana locale.
Intanto, nel suo primo discorso [9] natalizio come pontefice, Papa Leone ha condannato la terribile situazione umanitaria a Gaza, dove centinaia di migliaia di persone vivono in tende e alloggi fatiscenti, esposti al freddo pungente e alla pioggia. Ha fatto riferimento alla storia della nascita di Gesù in una stalla, affermando che essa dimostra come Dio abbia «piantato la sua fragile tenda» tra i popoli del mondo. «Come non pensare allora alle tende di Gaza, esposte da settimane alla pioggia, al vento e al freddo», ha detto, lamentando «le popolazioni indifese, provate da tante guerre». Nonostante le parole di Netanyahu, non c’è pace in Palestina. Nemmeno per i palestinesi cristiani.