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Da Santo a brand globale: come Santa Claus è diventato il volto del consumismo natalizio

La figura di Santa Claus è oggi una delle immagini più riconoscibili del pianeta. Eppure la sua identità non nasce dalla fantasia contemporanea, ma da una stratificazione complessa in cui convergono religione, folklore europeo, trasformazioni sociali e, negli ultimi decenni, la potenza del marketing applicato al commercio. Ripercorrere le sue origini significa attraversare secoli di storia e smontare alcune credenze consolidate, ma anche interrogarsi su come un simbolo religioso e popolare sia diventato una delle icone globali del consumismo più sfrenato.

San Nicola e l’origine del mito

Il punto di partenza documentato è San Nicola di Myra, originario dell’attuale Turchia meridionale e attuale patrono della città di Bari. Fu un vescovo cristiano nato nel terzo secolo dopo Cristo che divenne noto soprattutto per atti di carità verso poveri e bambini, la cui venerazione si radicò nell’Europa medievale al punto da generare tradizioni di doni e protezione dei più fragili. Considerato come un Santo quando era ancora in vita, a lui sono attribuiti diversi miracoli e azioni esemplari nel combattere le ingiustizie. Il miracolo più raccontato – che introduce anche la pratica del dono fatto di nascosto – è quello delle tre fanciulle salvate grazie alla sua carità. Secondo la leggenda, un padre ridotto in miseria non poteva offrire la dote alle tre figlie, condannandole così a un destino disperato. Nicola, per non umiliarlo e mantenere l’anonimato, durante tre notti consecutive lasciò tre sacchetti d’oro nella casa della famiglia (in alcune versioni li gettò dalla finestra, in altre attraverso il camino), permettendo alle ragazze di sposarsi dignitosamente.
Nei Paesi Bassi la sua figura si traduce in Sinterklaas, celebrato il 6 dicembre, che entra nelle case portando regali: è da qui che, attraverso l’emigrazione olandese negli Stati Uniti tra XVII e XIX secolo, si forma il passaggio linguistico e culturale a Santa Claus. Studi storici e religiosi come quelli di Gerald Bowler (Santa Claus: A Biography), ricerche universitarie sulla storicità di Nicola come quelle dell’University of Queensland [1] o dell’University of Winchester [2] e lavori di Tom A. Jerman (Santa Claus Worldwide) confermano questa genealogia come principale radice documentata.

San Nicola statua Turchia [3]
San Nicola di Myra, Turchia

Il contributo del folklore europeo 

Santa Claus però non è solo eredità cristiana. Nel Nord Europa circolano figure invernali che alimentano un immaginario parallelo. In Inghilterra si sviluppa Father Christmas, personificazione dello “spirito del Natale”, spesso rappresentato [4] con abito verde, legato alla natura e al ciclo stagionale. In ambito germanico e scandinavo sopravvivono eco di narrazioni pre-cristiane legate a Yule e a figure come Odino, immaginato come un vecchio viaggiatore barbuto che attraversa i cieli invernali. Più che una derivazione diretta, si tratta di un simbolismo che nel corso del tempo si innesta sulla figura di San Nicola, alimentando il mito.

Rosso o verde? 

Una delle storie più affascinanti riguarda il colore dell’abito. Secondo la leggenda contemporanea, Babbo Natale avrebbe indossato in origine un costume verde, diventato rosso per merito (o colpa) di Coca-Cola. La ricerca storica racconta una realtà diversa: già nell’Ottocento illustratori come Thomas Nast raffigurano Santa Claus con abito rosso, ma anche con varianti cromatiche. Nel primo Novecento il rosso è già ampiamente diffuso. Il ruolo di Coca-Cola, a partire dalle celebri illustrazioni di Haddon Sundblom negli anni ’30, non è dunque creativo, ma, al contrario, standardizzante: la multinazionale non crea l’immagine, ma la codifica e la diffonde globalmente, trasformandola in linguaggio universale che si sposa perfettamente con i colori del marchio. Lo riconoscono tanto storici come Stephen Nissenbaum (The Battle for Christmas), quanto la stessa azienda.

Sciamani, slitte e funghi

Negli ultimi decenni è circolata anche una narrazione alternativa, affascinante ma controversa: quella che lega Santa Claus a pratiche sciamaniche dell’Europa nord-orientale, all’uso rituale dell’Amanita muscaria, all’ingresso invernale attraverso camini e all’uso della slitta. Studi di R. Gordon Wasson e letture etno-antropologiche come quelle di John A. Rush hanno contribuito a diffondere questa interpretazione. Tuttavia numerosi ricercatori – tra cui studiosi Sámi come Tim Frandy e analisi pubblicate da testate come National Geographic – invitano alla prudenza: si tratta più di un’ipotesi suggestiva che di una verità storica.

[5]Secondo questa lettura, le analogie non sarebbero casuali: gli sciamani che abitavano la vasta zona dominata dai monti Urali e la Siberia, durante i rituali invernali, si spostavano su slitte trainate da renne, figura animale centrale anche nell’iconografia moderna di Santa Claus. In inverno, quando le porte erano bloccate dalla neve, si racconta che potessero entrare nelle abitazioni attraverso il tetto o il camino, gesto che richiama uno degli elementi narrativi più noti del mito natalizio. Inoltre, l’uso rituale dell’Amanita muscaria, il fungo (rosso) dai puntini (bianchi) associato a stati alterati di coscienza, viene messo in parallelo con la simbologia cromatica del costume di Santa Claus e con la dimensione “magica” del viaggio notturno. Questi elementi, messi insieme, producono una suggestiva somiglianza narrativa tra lo sciamano artico e il Babbo Natale contemporaneo: un mediatore tra mondi, capace di viaggiare nel freddo invernale e di portare qualcosa di speciale alle comunità.

La trasformazione decisiva, invece, è sociale ed economica. È tra XIX e XX secolo che Santa Claus diventa il simbolo perfetto del Natale borghese e domestico, legato ai bambini, alla casa e, progressivamente, al mercato. Il lavoro di Nissenbaum mostra come il Natale venga rimodellato dalla società industriale e come Santa Claus diventi un attore centrale di un rituale ormai profondamente commerciale. Il risultato è il personaggio che conosciamo oggi: non solo figura fiabesca e generosa, ma icona globale del consumismo festivo, sintesi potente di marketing, emozione e tradizione reinterpretata.

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Mario Catania

Giornalista professionista freelance, specializzato in cannabis, ambiente e sostenibilità, alterna la scrittura a lunghe camminate nella natura.