Siamo tutti a Natale un po’ Re Magi.
Negli empori, fanghiglia e affollamento.
La gente, carica di mucchi di pacchetti,
mette un bancone sotto accerchiamento
per un po’ di croccante
al gusto di caffè
così ciascuno è cammello
e insieme re.
Reticelle, sacchetti, borse della spesa,
colbacchi e cravatte che vanno di traverso.
Effluvi di vodka, odori di pino e baccalà
e di cannella, mandarini e mele.
Marea di volti, e per via del vento misto a neve
il sentiero verso Betlemme non si vede.
Quelli che portano i modesti doni
saltano sui mezzi, sfondano i portoni,
spariscono negli abissi dei cortili,
eppure sanno che la grotta è vuota:
niente greppia, né un bue con l’asinello,
o Colei che circonfusa è da un aureo anello.
Il vuoto. Ma basta immaginarlo con la mente,
e dal nulla, di colpo un guizzo luminoso.
Deve saperlo Erode che quanto più è potente,
tanto più certo, ineludibile è il prodigioso evento.
La costanza di tale affinità è il meccanismo fondante della Natività.
E adesso ovunque festeggiano
il Suo avvento, mettendo tutti i tavoli vicino.
Ancora non serve la stella nel turchino,
ma già si può vedere da lontano
la buona volontà di ogni figlio d’Adamo,
mentre i pastori attizzano i falò.
Fiocca la neve: non fumano i comignoli
sui tetti, squillano invece i volti come macchie.
Erode beve. Le donne nascondono i piccini.
Chi sta giungendo – non si sa mai:
ignoriamo i presagi, e il cuore sull’istante
potrebbe non ravvisare un forestiero nel viandante.
Ma quando, nel gelo della porta spalancata,
una figura avvolta nello scialle emerge
dalla foschia fitta della notte,
senti esistere in te senza vergogna
il Bambino e lo Spirito Santo;
poi guardi il cielo ed eccola – la Stella.
Una poesia costruita come una sceneggiatura, ma poi eccoli i volti squillanti, il guizzo luminoso, i pastori che attizzano i falò: bagliori di discontinuità, quasi un suggerimento al direttore della fotografia.
Il Natale, la stella, arriva annunciata da un viandante, perché se è vero che tutti i riti del consumo ci rendono anonimi, confusi nell’identico, dentro un’unica galleria pieni di ansia, lo straniero avvolto nel mantello è portatore di una novità, è l’attore che mette in scena non un regalo ma una profezia.
È arrivato Godot, l’atteso poi disatteso, metafisica sospensione del tempo. Qualcosa sta per succedere, si sono uniti i tavoli, possiamo finalmente stare vicini.
La potenza di Erode sembrava inattaccabile, ancora affolla il presente, la quotidianità: “fiocca la neve”,”Erode beve”…
Ma c’è in preparazione il cambiamento, la rivelazione e la rivoluzione di un potere Bambino e divino, totalmente nuovo rispetto al potere di chi trascura i presagi e crede di non dover temere nulla.