Il Segretario di Stato statunitense, Marco Rubio, ha annunciato che a cinque cittadini europei non verrà concesso il visto d’ingresso negli USA. Secondo le autorità, questi individui sarebbero alla guida di “sforzi organizzati per costringere le piattaforme americane a censurare, demonetizzare e sopprimere punti di vista statunitensi a loro contrari”. Pur non avendo fornito i nomi, le identità sono emerse da fonti parallele: si tratta di figure di primo piano nel campo della regolamentazione tecnologica. Tra loro figura anche Thierry Breton, ex commissario europeo per il Mercato interno e i Servizi.
Il comunicato [1]che rende pubblica la misura, diffuso martedì 23 dicembre, definisce i destinatari come “attivisti radicali” e “agenti del complesso globale di censura a livello industriale”, sostenendo che la loro stessa presenza negli Stati Uniti rappresenterebbe una potenziale minaccia per la politica estera di Washington. L’anonimato inizialmente previsto dall’azione diplomatica è stato però subito infranto dalla Sottosegretaria di Stato Sarah Rogers, che sul social X [2] ha dato avvio a un lungo soliloquio volto a mettere alla berlina coloro che, di fatto, vengono presentati come nemici nazionali.
Ecco dunque che il primo nome citato è proprio quello di Thierry Breton, dipinto come “l’artefice del Digital Services Act”, che nell’agosto 2024 aveva pubblicato una lettera [3] “per minacciare Elon Musk in vista della sua intervista in livestream con il Presidente Trump”. Breton ha lasciato l’incarico di Commissario un mese dopo a quell’episodio, a suo dire [4] a seguito di pressioni esercitate direttamente dalla Presidente Ursula von der Leyen. Segue poi Imran Ahmed, chief executive del Centro per Contrastare l’Odio Digitale (CCDH), accusato di aver chiesto “alle piattaforme di rimuovere dodici ‘anti‑vax’ americani, tra cui l’attuale Segretario della Salute e dei Servizi Umani”, il controverso Robert F. Kennedy, e di guidare un’organizzazione che mira a “innescare azioni regolatorie” contro i social statunitensi. In particolare contro X, piattaforma che, dopo il passaggio sotto il controllo di Elon Musk, viene sempre più spesso identificata [5]come acceleratore di dinamiche polarizzanti e di favorire la diffusione di contenuti d’odio.
C’è poi Clare Melford che, alla guida del Global Disinformation Index (GDI), avrebbe promosso una definizione di “hate speech” malvista da Washington, sostenendo iniziative considerate al pari di forme di censura nei confronti della stampa e della libertà di espressione statunitense. Peggio ancora, l’organizzazione ha aderito al “dannoso Codice di condotta dell’UE sulla disinformazione”. Seguono infine Anna‑Lena von Hodenberg e Josephine Ballon, leader di HateAid, organizzazione tedesca attiva nell’ambito del Digital Services Act che viene rimproverata perché “richiedere regolarmente l’accesso a dati proprietari delle piattaforme social per ampliare la propria capacità di censura” nei confronti dei “gruppi conservatori”. HateAid figura tra le realtà più attive tra quelle che spingono [6] le piattaforme affinché rendano accessibili i propri dati a ricercatori e giornalisti.
Grazie al programma “Viaggia senza visto”, la maggior parte dei cittadini europei può entrare negli Stati Uniti senza dover richiedere effettivamente un visto. A meno che le persone coinvolte non siano state segnalate anche al Dipartimento della Sicurezza Interna, la misura annunciata dalla Segreteria di Stato risulta quindi largamente simbolica. Non di meno, resta significativa, perché evidenzia quanto i rapporti tra USA e UE/Regno Unito siano ormai irrigiditi in un vero e proprio braccio di ferro sulla regolamentazione delle Big Tech statunitensi.
Mentre porta avanti l’obiettivo di “americanizzare” TikTok [7] con il pretesto del doversi difendere dalla propaganda cinese, Washington esercita pressioni diplomatiche e commerciali per garantire alle proprie aziende tecnologiche un futuro il più possibile libero da vincoli e sanzioni. La negazione del visto rappresenta, almeno in teoria, un’extrema ratio da riservare a spie e criminali di alto profilo; risulta dunque altamente simbolico che questa misura non venga applicata a coloro che sono condannati per crimini di guerra [8], ma ai leader di ONG che osano proporre interventi politici capaci di mettere in discussione la mercificazione del sensazionalismo e dell’odio che alimenta gli algoritmi dei social.