Il sistema italiano di inclusione scolastica è stato preso di mira dal Consiglio d’Europa. Il Comitato europeo dei diritti sociali ha infatti stabilito all’unanimità che l’Italia viola il diritto degli insegnanti di sostegno «a guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente intrapreso» a causa del ricorso massiccio a contratti precari e perché circa il 30% dei docenti non possiede la formazione specializzata necessaria. Il medesimo verdetto afferma che questa situazione compromette il «diritto ad un’istruzione inclusiva degli alunni con disabilità», ostacolato dalla precarietà e dalle carenze formative del personale. La decisione, giunta a seguito di un ricorso presentato dall’Associazione Professionale e Sindacale (Anief) nel 2021, analizza la situazione fino al marzo 2025.
Nelle motivazioni della decisione [1], il Comitato di Strasburgo prende atto delle difese presentate dal governo italiano, il quale riconosce l’alto numero di assunzioni a tempo determinato ma ne sottolinea l’inevitabilità parziale, «data la difficoltà di prevedere in anticipo le esigenze specifiche a causa di numerose variabili quali il numero di alunni con disabilità e bisogni speciali che arrivano e lasciano la scuola, le richieste di trasferimento degli insegnanti, i congedi per malattia, i pensionamenti». La sentenza, tuttavia, pur riconoscendo alcuni miglioramenti legislativi e «un impegno significativo da parte del governo nel soddisfare la richiesta di sostegno», mette in luce dati allarmanti. Dall’anno scolastico 2010/2011 al 2022/2023, gli alunni con disabilità sono aumentati del 243%, passando da 139mila a 338mila. Nello stesso periodo, il numero degli insegnanti di sostegno è cresciuto del 248%, da 94.430 a 234.460. Tuttavia, ha messo nero su bianco il Comitato, «questo aumento degli insegnanti di sostegno è in gran parte dovuto a un forte incremento dei contratti a tempo determinato, passati dal 4,19% nel 2010/2011 al 46,18% nel 2023/2024».
Il Comitato osserva che per l’anno scolastico 2024/2025 è stata istituita una procedura di assunzione straordinaria per ridurre la precarietà, ma poiché «la nuova procedura non è stata ancora pienamente attuata non ha modo di valutarne l’impatto». Sul fronte cruciale della formazione, la condanna è netta: «pur riconoscendo gli sforzi compiuti dal governo per aumentare l’offerta formativa e semplificarne l’accesso, secondo i dati ufficiali dell’Istat del febbraio 2024, un insegnante di sostegno su tre non ha completato la specializzazione richiesta». Quanto sancito del Consiglio d’Europa, organo distinto dalle istituzioni dell’Unione Europea e dedicato alla tutela dei diritti umani, non comporta sanzioni dirette, ma costituisce una pesante nota di biasimo internazionale. La pronuncia fotografa infatti un sistema che, nonostante gli sforzi e gli incrementi di organico, continua a poggiare su basi fragili, lasciando nella precarietà una fetta enorme dei suoi specialisti e, di conseguenza, mettendo a rischio la qualità dell’inclusione per centinaia di migliaia di studenti con disabilità.
La precarietà, ad ogni modo, non risparmia neppure i docenti “ordinari”. Anche per loro, negli ultimi anni, i contratti a termine sono cresciuti in modo significativo. I dati ministeriali e le rilevazioni sindacali indicano [2] che, al 24 settembre, risultavano attivi 182.641 contratti a tempo determinato tra posti comuni e di sostegno; sottraendo i circa 76.100 contratti sul sostegno si ottengono circa 106.541 contratti “non-sostegno” a termine. Inoltre, analisi comparate mostrano che il precariato docente complessivo è più che raddoppiato nell’ultimo decennio: si è passati da poco più di 100.000 contratti a termine nel 2015 a oltre 230.000 nel 2023/24, segnalando una crescita strutturale della dipendenza da supplenze.