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Israele ha approvato 19 nuove colonie illegali in Cisgiordania

JENIN, CISGIORDANIA OCCUPATA – Il governo israeliano ha dato il via libera ufficiale alla creazione di 11 nuove colonie e ha legalizzato 8 avamposti illegali in Cisgiordania occupata. Salgono così a 69 gli insediamenti – illegali secondo il diritto internazionale – che il governo di Netanyahu ha approvato negli ultimi tre anni. Prima di allora, dalla fine degli anni ‘90, non erano quasi state approvate nuove colonie né legalizzati avamposti. Secondo l’organizzazione israeliana Peace Now, la recente approvazione aumenta il numero di colonie in Cisgiordania di quasi il 50% dall’insediamento dell’attuale governo, ossia da 141 insediamenti nel 2022 ai 210 odierni. Senza contare gli outpost, le occupazioni di terre illegali anche secondo la legge israeliana, che segnano l’inizio di una nuova, futura colonia, i cui numeri sono esplosi dal 7 di ottobre ad oggi. “Stiamo impedendo la creazione di uno Stato terrorista palestinese sul territorio. Continueremo a sviluppare, costruire e insediarci nella terra dei nostri antenati”, ha affermato [1] il ministro di estrema destra Smotrich, uno dei leader del movimento per la colonizzazione della Cisgiordania.

Circa la metà degli avamposti si trova nell’entroterra della Cisgiordania, mentre gli altri sono distribuiti in modo più o meno uniforme lungo la Linea Verde che separa il territorio da Israele. Due degli insediamenti – Ganim e Kadim – erano stati evacuati in base ai termini dell’accordo di disimpegno del 2005, con cui Israele si era ritirato unilateralmente da Gaza e da quattro avamposti illegali in Cisgiordania. Gli altri due, Homesh e Sa Nur, sono stati formalmente ricostituiti nel maggio di quest’anno. Per Smotrich, “dopo vent’anni, stiamo riparando a una dolorosa ingiustizia e riportando Ganim e Kadim sulla mappa degli insediamenti”. Un altro gesto che mostra i passi indietro di Israele rispetto a quello che le dichiarazioni delle Nazioni Unite continuano a chiedere allo Stato sionista, ossia di smantellare le colonie e ritirarsi dalla Cisgiordania.

Continua a una velocità sorprendente il piano di colonizzazione e frammentazione della Palestina occupata dal 1967; i coloni e l’esercito continuano a sgomberare comunità palestinesi, demolendo abitazioni e distruggendo i mezzi di sussistenza di migliaia di famiglie, mentre avanzano le costruzioni di nuovi insediamenti illegali e la loro legalizzazione da parte di Tel Aviv. Il tutto promosso e finanziato esplicitamente del governo di Netanyahu, che la settimana scorsa ha approvato il bilancio dello Stato includendo un piano di spesa di circa 720 milioni di euro [2] per l’espansione degli insediamenti e la legalizzazione degli avamposti costruiti senza autorizzazione governativa.
Secondo un recente rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania è al suo tasso più alto almeno dal 2017, quando le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare tali dati. Nel rapporto si legge anche come continuano ad aumentare esponenzialmente le unità abitative avanzate, approvate o messe in gara d’appalto; solo nel 2025, sono 47.390, rispetto alle circa 26.170 del 2024. “Queste cifre rappresentano un forte aumento rispetto agli anni precedenti”, ha aggiunto [3], sottolineando che tra il 2017 e il 2022 sono state aggiunte in media 12.815 unità abitative all’anno. Guterres ha condannato l’espansione “incessante”, affermando che “continua ad alimentare le tensioni, impedisce ai palestinesi di accedere alla loro terra e minaccia la fattibilità di uno Stato palestinese pienamente indipendente, democratico, contiguo e sovrano”.

Intanto, a Gaza, le nuove regole israeliane sulle ONG rischiano di privare ulteriormente centinaia di migliaia di persone di cure mediche. È la denuncia [4]di Medici Senza Frontiere, una delle più grandi organizzazioni mediche che opera nella Striscia, che rischia di essere buttata fuori dal territorio a partire dal 1 gennaio 2026 a causa delle nuove misure introdotte dal governo di Tel Aviv per la registrazione delle organizzazioni non governative internazionali. “Il sistema sanitario di Gaza è ormai distrutto, e se le organizzazioni umanitarie indipendenti ed esperte perdessero la possibilità di operare, ne conseguirebbe un disastro per i palestinesi. Chiediamo alle autorità israeliane di garantire che le ONG internazionali possano continuare a operare in modo imparziale e indipendente a Gaza. La risposta umanitaria, già limitata, non può essere ulteriormente ridotta,” denuncia l’organizzazione, che opera dal 1989 sul territorio.

Secondo la nuova misura introdotta a partire dal 2026 le richieste di registrazione verrebbero respinte da Israele per quelle “organizzazioni coinvolte nel terrorismo, nell’antisemitismo, nella delegittimazione di Israele, nella negazione dell’Olocausto, nella negazione dei crimini del 7 ottobre”. Ma come ha spiegato [5]all’AFP Yotam Ben-Hillel, un avvocato israeliano che sta sostenendo diverse ONG, nelle sfumature della “delegittimazione di Israele” potrebbe rientrare “ogni piccola critica” fatta all’operato dello Stato sionista. “Non sappiamo nemmeno cosa significhi realmente delegittimazione. Ogni organizzazione che opera a Gaza e in Cisgiordania e vede cosa succede e ne riferisce potrebbe essere dichiarata illegale, perché si limita a riferire ciò che vede”.

Il Ministero israeliano per gli Affari della Diaspora e la Lotta all’Antisemitismo ha dichiarato che finora sono state respinte quattordici delle circa 100 domande presentate, 21 sono state approvate e le restanti sono ancora in fase di esame. Tra le ONG escluse dalle nuove regole figurano Save the Children, una delle più note e longeve a Gaza, dove aiuta 120.000 bambini, e l’American Friends Service Committee (AFSC). A queste organizzazioni sono stati concessi 60 giorni per ritirare tutto il loro personale internazionale dalla Striscia di Gaza, dalla Cisgiordania occupata e da Israele, e non potranno più inviare aiuti umanitari attraverso il confine con Gaza.

Il forum che riunisce le agenzie delle Nazioni Unite e le ONG che operano nella zona ha rilasciato giovedì una dichiarazione in cui esorta [6]Israele a “rimuovere tutti gli ostacoli”, compresa la nuova procedura di registrazione, che “rischiano di compromettere la risposta umanitaria”.

MSF supporta attualmente sei ospedali pubblici e ne gestisce due da campo, oltre a sostenere quattro centri sanitari e a gestire un centro di alimentazione per persone affette da malnutrizione. Le attività dell’ONG aiutano quasi mezzo milione di persone a Gaza. Il bando dell’ONG, così come di altre organizzazioni internazionali che lavorano nella Striscia, rischia di togliere l’accesso alle cure mediche essenziali gran parte della popolazione di Gaza, dando il colpo finale alla già catastrofica condizione umanitaria nell’area.

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Moira Amargi

Moira Amargi esiste ed è una persona specifica, ma il nome è uno pseudonimo, usato quando pubblica report sulla Palestina o dall'interno di cortei e momenti di conflitto sociale a rischio repressione. È corrispondente per L'Indipendente dal Medio Oriente e dai Territori Palestinesi occupati.