La rete Starlink sta svolgendo un ruolo cruciale nelle comunicazioni e nella trasmissione dei dati militari utilizzati dall’esercito ucraino nella sua resistenza all’invasione russa. Non sorprende quindi che i servizi di intelligence di due Paesi della NATO sospettino che Mosca stia lavorando a un’arma capace di mettere fuori uso l’intera costellazione satellitare dell’azienda statunitense rilasciando in orbita centinaia di migliaia di detriti ad alta densità.
L’indiscrezione è stata diffusa oggi, lunedì 22 dicembre, dall’agenzia di stampa The Associated Press [1], la quale sostiene di aver esaminato due rapporti di sicurezza secondo cui la Russia starebbe sviluppando un’arma a “zona d’effetto”, ovvero un sistema che, una volta dispiegato, rilascerebbe una fitta nube di micro‑proiettili difficili da individuare. Si tratterebbe di minuscoli pallini dal diametro di pochi millimetri, praticamente invisibili ai sistemi di rilevamento, ma comunque in grado di danneggiare le componenti più vulnerabili dei satelliti, in particolare i pannelli solari.
L’idea alla base del progetto sembrerebbe essere quella di sabotare le strumentazioni in orbita senza provocare danni catastrofici, nel tentativo di evitare la concretizzazione della cosiddetta Sindrome di Kessler, la teoria secondo cui la collisione tra grandi oggetti in orbita potrebbe generare uno sciame di detriti tale da innescare un effetto domino che finirebbe con il rendere inutilizzabile un’intera fascia orbitale. Nonostante queste presunte cautele, diversi accademici dubitano che la soluzione ipotizzata dalle intelligence sia realmente controllabile e, di conseguenza, che Mosca possa effettivamente adottare una strategia del genere. Una volta dispersi nello spazio, infatti, i detriti diventerebbero impossibili da gestire e metterebbero a rischio anche le operazioni spaziali della stessa Russia, nonché quelle del suo potente alleato, la Cina.
Per meglio comprendere le potenziali conseguenze di una simile strategia bellica, basti ricordare che appena lo scorso novembre [2] tre taikonauti cinesi sono rimasti isolati nella stazione spaziale Tiangong dopo che la loro capsula di trasporto era stata danneggiata da quelli che l’Agenzia spaziale cinese (CMSA) ha definito minuscoli detriti orbitali. Le insidie poste da queste schegge vaganti – rifiuti spaziali generati in larga parte dall’attività umana – sono dunque già oggi concrete e richiedono sempre la massima attenzione. Nelle interpretazioni più estreme, un’arma di questo tipo potrebbe quindi assumere la funzione di un sistema di deterrenza capace, almeno in teoria, di attuare piani d’azione assimilabili alla distruzione di massa, rendendo inaccessibile per decenni una porzione significativa dell’ecosistema satellitare, impedendo gran parte delle attività spaziali.
Le fonti che hanno fornito l’informazione hanno chiesto di rimanere anonime e non hanno chiarito a che punto sia lo sviluppo di questa ipotetica arma, un dettaglio ritenuto troppo sensibile per essere divulgato. Da parte sua, Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, non ha commentato quanto riportato da AP. Vale però la pena ricordare che la Russia dispone già [3] di sistemi missilistici anti‑satellitari capaci di distruggere obiettivi in orbita e, di conseguenza, di generare pericolose nubi di detriti. Se accettiamo l’assunto che i pallini non siano pensati per distruggersi all’impatto, l’unico vantaggio tattico evidente offerto da questa nuova tecnologia sarebbe la possibilità di agire in maniera più discreta e difficilmente rilevabile.
Non è però detto che la segretezza sia un requisito indispensabile. Il quadro normativo internazionale sullo spazio è rimasto fermo agli anni Settanta, riflette le paure nucleari della Guerra Fredda, ma non contempla le complessità emerse nei decenni successivi. Non è affatto certo, pertanto, che la Russia possa essere ritenuta perseguibile qualora, nello smantellare i propri satelliti, finisse fatalmente e incidentalmente per compromettere in modo irreparabile l’accesso ai servizi satellitari globali. Quel che è evidente, tuttavia, è che un’azione del genere — indipendentemente dalla sua eventuale legittimità — attirerebbe su Mosca la ire delle principali potenze mondiali, tutte ormai legate alla nuova corsa allo spazio. Il rilascio incontrollato di detriti non rappresenta insomma un’opzione troppo verosimile, soprattutto perché, come evidenzia la Secure World Foundation nel suo ultimo report [4], si stima che il Cremlino disponga di strumenti cibernetici molto meno compromettenti con cui interferire strategicamente con le attività di Starlink.