Fioccano le condanne, seppur ridimensionate rispetto al verdetto di primo grado, nella sentenza di appello al Maxiprocesso “Rinascita-Scott”, che vede alla sbarra gli ‘ndranghetisti del Vibonese insieme a numerosi uomini dello Stato. Nello specifico, sono stati comminati complessivamente 1.200 anni di carcere a 154 imputati, insieme a 50 assoluzioni e 10 prescrizioni. Tra i condannati più illustri c’è Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia e coordinatore del partito in Calabria, che ha rimediato 7 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa: avrebbe costituito il perno tra ‘Ndrangheta, massoneria e istituzioni. Se l’ex maresciallo della Dia Michele Marinaro, per cui l’accusa richiedeva 10 anni di reclusione, è stato prescritto, sono invece arrivate condanne, tra gli altri, per l’ex tenente colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli (2 anni rivelazione di segreto d’ufficio) e per l’appuntato Antonio ventura (5 anni e 8 mesi per favoreggiamento aggravato).
A vario titolo, ai 322 imputati del Maxiprocesso – nata da un’inchiesta coordinata dall’allora Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri – venivano contestati [1] reati quali associazione mafiosa, concorso esterno, rivelazione di segreto, estorsioni, omicidi, intestazione fittizia di beni, usura e riciclaggio. In primis, sono stati raggiunti da importanti condanne gli uomini delle ‘ndrine della provincia di Vibo Valentia, tra cui spiccano i Mancuso e i Bonavota. Le pene più alte confermate dalla Corte d’appello – 30 anni di carcere – sono state riservate a Luigi Mancuso e Giuseppe Accorinti, presunti boss di Limbadi e Zungri. Ingenti condanne anche per Domenico Bonavota, inquadrato come capomafia di Sant’Onofrio, punito con 23 anni e 6 mesi di carcere, e per Saverio Razionale, ritenuto come il capo di San Gregorio d’Ippona (21 anni). Si è potuti arrivare a questi importanti risultati anche grazie al ruolo chiave dei collaboratori di giustizia, che hanno fatto luce sulle dinamiche interne alla consorteria criminale e sui rapporti tra la ‘ndrangheta e l’universo politico-istituzionale.
La figura più “ingombrante” presente [2] nella lista dei condannati è infatti quella dell’avvocato e politico Giancarlo Pittelli, ex senatore della Repubblica e coordinatore di Forza Italia in Calabria, cui in primo grado erano stati comminati 11 anni di carcere e che in appello ha visto la pena ridursi a 7 anni e 8 mesi. Secondo la ricostruzione della Procura, Giancarlo Pittelli avrebbe favorito il clan dei Mancuso e l’imprenditore Rocco Delfino – condannato a 4 anni e 6 mesi in appello dopo i 5 rimediati in primo grado –, costituendo la «cerniera tra i due mondi» in una «sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere». In sede di requisitoria, i pm lo hanno inquadrato come «massone, politico eletto con l’appoggio delle logge massoniche e della ‘ndrangheta ed in particolare dei Mancuso, disposto a sfruttare le sue conoscenze, a corrompere o indurre al reato pubblici ufficiali, a recuperare e riferire notizie coperte da segreto per favorire i Mancuso». Pittelli, nella ricostruzione della Procura, poteva infatti arrivare dove il boss di Limbadi Luigi Mancuso «non poteva da solo arrivare», rappresentando «il prolungamento del suo braccio proteso sulle istituzioni e sulla società civile».
Fra gli altri, sono poi stati condannati anche il tenente colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli (2 anni, senza aggravante mafiosa) per rivelazione di segreto d’ufficio e l’avvocato Francesco Stilo (7 anni e 8 mesi) per concorso esterno in associazione mafiosa. È stata invece confermata la condanna a 5 anni e 8 mesi nei confronti del carabiniere Antonio Ventura, in servizio all’epoca dei fatti al Nucleo investigativo di Vibo, per favoreggiamento aggravato dalla finalità di agevolazione dell’associazione mafiosa. Pietro Giamborino, ex consigliere regionale del PD condannato in primo grado a 1 anno e 6 mesi per traffico di influenze illecite, è stato assolto in appello. È arrivata invece la prescrizione per Michele Marinaro, ex maresciallo della Dia di Catanzaro, per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio in cui era stato riqualificato il reato originario di concorso esterno.
Per Pittelli si tratta della seconda batosta giudiziaria nell’arco di poche settimane. L’avvocato ha infatti subìto [3] a fine settembre una condanna in primo grado dai giudici del Tribunale di Palmi a 14 anni di carcere, sempre per concorso esterno con la ‘Ndrangheta, nell’ambito del processo denominato “Mala Pigna”. Secondo l’accusa, come si legge nel capo di imputazione, Giancarlo Pittelli avrebbe garantito «la sua generale disponibilità nei confronti del sodalizio a risolvere i più svariati problemi degli associati, sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti del medesimo con importanti esponenti delle istituzioni e della pubblica amministrazione». L’ex parlamentare e coordinatore di Forza Italia in Calabria, infatti, poteva contare su «illimitate possibilità di accesso a notizie riservate e a trattamenti di favore», riuscendo dunque a fungere «da postino per conto dei capi della cosca Piromalli», per i quali «veicolava informazioni all’interno e all’esterno del carcere tra i capi della cosca detenuti in regime di 41 bis».