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UE, retromarcia sullo stop a benzina e diesel: resteranno anche dopo il 2035

L’Unione Europea continua a fare passi indietro nelle politiche ambientali. La Commissione ha infatti approvato una revisione del divieto di vendita dei motori a combustione interna, abbassando ulteriormente gli obiettivi per la decarbonizzazione. La proposta rivede l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2035, abbassando la soglia al 90%, e reintroduce la possibilità di utilizzare auto con motore a benzina e diesel anche dopo quell’anno, segnando un notevole passo indietro rispetto a quella che era una norma centrale nel Green Deal. La decisione si inserisce in un generale contesto di revisione degli obiettivi sul clima, soprattutto a seguito delle pressioni esercitate dai governi per tutelare le imprese.

Le auto ibride plug-in, quelle con range extender, le ibride leggere e i veicoli con motore a combustione interna potranno dunque continuare a essere prodotte anche dopo il 2035. Per quanto riguarda il 10% delle emissioni restanti, questo dovrà essere compensato dall’impiego di acciaio a basse emissioni di carbonio «prodotto nell’Unione» o di e-fuel e biocarburanti, come richiesto da Giorgia Meloni e da una manciata di altri leader dell’UE. La Commissione dichiara [1] che, in questo modo, «gli standard di CO2 offrono una maggiore flessibilità per sostenere l’industria e migliorare la neutralità tecnologica, garantendo al contempo prevedibilità ai produttori e mantenendo un chiaro segnale di mercato verso l’elettrificazione». La decisione asseconda le richieste di molti produttori e Stati membri, a fronte della forte crisi del settore automobilistico. In Italia, dove Stellantis ha dovuto sospendere le attività in diversi stabilimenti tanto in casa quanto all’estero [2], il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha esultato commentando [3] come in Europa sia passata «la linea di Forza Italia» e che la scelta «mette al ripato 70 mila posti di lavoro» solo in Italia. «Sì alla tutela dell’ambiente, ma sempre salvaguardando la dignità della persona, di chi fa impresa e crea occupazione» ha aggiunto il ministro, dichiarando che gli obiettivi contro l’inquinamento vanno perseguiti «tenendo sempre in conto la questione sociale».

Nel nome della semplificazione e di una maggiore competitività sul mercato – retorica che torna anche in questo contesto -, la Commissione ha notevolmente ridimensionato gli obiettivi [4] generali di neutralità climatica entro il 2050. A partire da quest’anno, grazie a un pacchetto di riforme che intervengono sullle precedenti disposizioni del Green Deal, la gran parte delle aziende non è più tenuta [5] a riportare l’impatto dei fattori di sostenibilità sul loro business, sull’ambiente e sulla società, mentre la rendicontazione per classificare le proprie attività economiche in base alla sostenibilità ambientale non è più obbligatoria. Per quanto riguarda la Due Diligence, predisposta per obbligare le aziende a identificare, prevenire e mitigare gli impatti negativi ambientali e sui diritti umani per le operazioni nell’ambito delle catene di fornitura, questa è stata notevolmente indebolita, riducendo le valutazioni relative ai fattori di rischio ai soli fornitori diretti e dilunedone la periodicità da una volta all’anno a una volta ogni cinque anni. È stato anche rimosso l’obbligo di porre termine ai contratti con i fornitori non conformi alla normativa e rimossa la responsabilità civile in caso di inadempienze.

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.