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A Ravenna i manifestanti contro le armi a Israele rischiano 2 anni di carcere

Hanno bloccato l’accesso al porto per due ore per protestare contro l’invio di armi e merci dirette a Israele e ora rischiano fino a due anni di carcere per il reato di “blocco stradale”. È l’effetto della stretta voluta dal Governo con il Decreto Sicurezza, che ora colpisce anche gli attivisti di Ravenna che lo scorso 28 novembre si erano ritrovati nei pressi dello scalo cittadino per manifestare “contro la finanziaria di guerra del governo Meloni”.

«Un nutrito gruppo di manifestanti – si legge nel comunicato della Polizia [1] – dopo essersi radunato presso il TCR per contestare il transito delle navi dirette a Israele, ha occupato la sede stradale, bloccando per circa due ore l’accesso al Terminal e impedendo ai mezzi pesanti di entrare e uscire per completare le attività di carico e scarico della merce, causando problemi all’ordinaria circolazione». Il risultato è che 32 persone sono state denunciate

Il reato di blocco stradale è stato reintrodotto dal Decreto Sicurezza lo scorso 5 giugno e prevede una pena fino a 30 giorni di carcere per chiunque, agendo singolarmente, ostacoli anche in maniera pacifica la circolazione o il transito dei mezzi. La condanna diventa invece molto più severa per chi agisce in gruppo, con una multa fino a 4.000 euro e la detenzione da sei mesi a due anni.

Una norma che ha immediatamente suscitato polemiche e critiche da parte di associazioni, sindacati e forze politiche di opposizione, che denunciano un restringimento degli spazi di dissenso e una criminalizzazione delle forme di protesta non violenta. Secondo gli attivisti, l’iniziativa di Ravenna aveva l’obiettivo di richiamare l’attenzione sull’utilizzo dei porti italiani per il transito di materiali bellici e sul coinvolgimento dell’Italia nei conflitti internazionali.

Il tema era tornato al centro del dibattito cittadino in occasione della manifestazione del 17 settembre scorso [2], quando migliaia di persone avevano partecipato a un grande corteo con lo slogan «La città si ribella, basta armi a Israele». Una mobilitazione ampia e trasversale, che aveva visto insieme portuali, studenti, associazioni pacifiste, realtà sindacali e cittadini, uniti dalla richiesta di fermare il transito di carichi militari attraverso lo scalo ravennate. Una protesta che, secondo gli organizzatori, aveva dimostrato come l’opposizione all’uso del porto per fini bellici fosse condivisa e diffusa nella città. Un concetto ribadito anche dopo le denunce, in un comunicato diffuso dagli attivisti, in cui si respinge ogni tentativo di individuare singoli responsabili: «A bloccare il container il 28 novembre c’eravamo tutti e tutte», si legge nel testo, che rivendica il carattere collettivo dell’azione.

Le denunce, quindi, non riguardano soltanto le 32 persone coinvolte, ma sembrano inserirsi in un contesto più ampio che potrebbe avere effetti sull’intero movimento che a Ravenna, e in tutta Italia, continua a mobilitarsi contro la guerra, il traffico di armi e a sostegno del diritto di manifestare. Una vertenza che, nata attorno al porto, rischia ora di trovare un prolungamento soprattutto nelle aule dei tribunali.

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Fulvio Zappatore

Nato a Cesena nel 1984, muove i primi passi nel giornalismo scrivendo articoli per la stampa locale. Dopo la laurea in Storia contemporanea diventa professionista e inizia a dedicarsi anche al giornalismo televisivo. Collabora a L’Indipendente come corrispondente dall’Emilia-Romagna.