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Sondaggio, i ragazzi italiani rifiutano la guerra: il 68% non si arruolerebbe

Mentre il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto suggerisce un possibile ritorno della leva militare, le persone che verrebbero direttamente coinvolte dalla misura esprimono il proprio dissenso. Secondo un sondaggio dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, infatti, il 68% dei giovani italiani di età compresa tra i 14 e i 18 anni non vuole andare in guerra. Il questionario – articolato in 32 domande – è stato effettuato su un campione di 4.000 persone, e non è ancora stato pubblicato nella sua interezza. La domanda posta dal Garante era: «Se il mio Paese entrasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?». Tra i maschi la percentuale di persone in disaccordo è risultata pari al 60,2% e tra le femmine al 73,6%.

La consultazione, intitolata “Guerra e conflitti”, è stata lanciata [1] lo scorso 18 novembre e resterà attiva sul portale del Garante dell’infanzia fino al 19 dicembre. Il sondaggio è stato elaborato lo scorso settembre dalla Consulta delle ragazze e dei ragazzi dell’Autorità garante, un gruppo di adolescenti tra i 13 e i 17 anni, con il supporto tecnico dello psicologo e psicoterapeuta Diego Miscioscia, socio fondatore dell’istituto Il Minotauro e autore di “La guerra è finita – Psicopatologia della guerra e sviluppo delle competenze mentali della pace”. L’obiettivo è quello di «colmare un vuoto di informazione sul sentiment degli adolescenti in relazione ai conflitti in corso e allo scopo di fornire alle istituzioni spunti di riflessione», ha affermato la garante nazionale Marina Terragni.

Il dossier contempla anche nodi più sottili: le domande affrontano il rapporto con la violenza, la paura e la responsabilità e indagano se i giovani parlano di guerra e pace a scuola. Non mancano quesiti sulla possibile influenza di giochi e simulazioni belliche sul comportamento e sulle modalità con cui si fronteggiano i «conflitti nel mio quotidiano», da quelli familiari alle tensioni tra coetanei e online. I dati provvisori riservano [2] una sorpresa riguardo alle fonti di informazione: contrariamente allo stereotipo della generazione digitalmente nativa, «è la televisione, e non internet o i giornali, il medium a cui prevalentemente si rivolgono per avere informazioni credibili», ha osservato Terragni. Un dato che appare significativo in un panorama mediatico spesso caratterizzato da un tono allarmistico riguardo a scenari di guerra imminenti.

La natura di alcune domande ha sollevato però perplessità e critiche da parte di molti osservatori. Il quesito cardine sull’arruolamento, ad esempio, è stato tacciato da alcuni di essere costruito per associare l’entrata in guerra del Paese al concetto di “responsabilità” personale, in una forma che non lascerebbe spazio a considerare come un atto di responsabilità potrebbe essere, in certi contesti, proprio il rifiuto di combattere. Altre domande indagano l’opinione sulle mobilitazioni pacifiste, chiedendo se siano ritenute utili, inutili o lascino indifferenti, o propongono riflessioni sulla massima latina «si vis pacem para bellum» (se vuoi la pace, prepara la guerra), recentemente citata anche dall’Alto rappresentante agli Esteri dell’UE Kaja Kallas.

Alcuni critici vedono nel questionario un tentativo di tastare il polso rispetto alla penetrazione di una propaganda bellicista sempre più esplicita e, contestualmente, di misurare l’impatto che le grandi mobilitazioni contro i massacri in Palestina e il riarmo europeo hanno avuto sulle generazioni più giovani. La sezione che equipara i conflitti internazionali a quelli quotidiani, con domande come «Secondo te c’è differenza tra conflitto e guerra?», viene letta da alcuni come un possibile tentativo di banalizzare le dinamiche geopolitiche o, al contrario, di disinnescare il conflitto sociale interno associando l’idea di pace a una passività accettante. L’Autorità garante ha replicato alle polemiche sottolineando che sul sito è possibile «farsi un’idea corretta e non ideologica» del questionario e che lo scopo è puramente conoscitivo. La decisione di diffondere alcuni risultati in anticipo è però vista da molti come una risposta difensiva a critiche giornalistiche che avevano etichettato le domande come eccessivamente “patriottiche”.

A ogni modo, il rifiuto dell’arruolamento da parte di oltre due terzi del campione è un segnale chiaro. Secondo alcuni analisti, esso rischia però di essere strumentalizzato per sostenere una ancor più strenua necessità di “militarizzazione” delle coscienze e dei luoghi formativi. La consultazione, al di là delle possibili interpretazioni soggettive, offre comunque uno spaccato significativo in merito a ciò che pensano ragazzi sottoposti al costante flusso di notizie sui conflitti, confermando che molti di loro hanno sviluppato forti anticorpi contro la propaganda bellicista.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.