Non si ferma l’inchiesta sui casi di caporalato nella moda della Procura di Milano, che ha rivelato come altri 203 operai lavorerebbero in condizioni di sfruttamento in centri di produzione che forniscono 13 grandi aziende del lusso ancora non coinvolte nelle indagini. Si tratta di marchi di alta moda come Dolce e Gabbana, Versace, Prada, Gucci, e Yves Saint Laurent; nella lista appaiono anche Off-White, Missoni, Ferragamo, Alexander McQueen, Givenchy, Pinko, Coccinelle e Adidas. La Procura ha chiesto alle aziende di consegnare una serie di documenti al fine di appurare il loro eventuale grado di coinvolgimento nel fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori. Nelle indagini erano già finite coinvolte Tod’s Alviero Martini spa, Armani Operations, Dior, Loro Piana e Valentino.
La Procura di Milano allarga così in modo significativo il suo fronte d’indagine sul caporalato e lo sfruttamento del lavoro nelle filiere del made in Italy, coinvolgendo alcune delle più prestigiose firme della moda globale. Il pubblico ministero Paolo Storari, con i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro, ha notificato ordini di consegna che riguardano committenti e fornitori. Ai marchi è stato richiesto di fornire documentazione per «appurare il grado di coinvolgimento» delle società e «l’idoneità dei modelli organizzativi» a prevenire tali fenomeni. Si concede dunque tempo alle aziende per autocorreggersi, presentando spontaneamente i propri modelli di prevenzione, gli audit interni e la documentazione sui fornitori. Negli atti notificati, la Procura precisa di aver «rilevato che, nell’ambito delle indagini svolte, sono emersi episodi di utilizzo di manodopera di etnia cinese in condizioni di pesante sfruttamento» che ha lavorato anche per queste aziende. Per ciascun brand, vengono indicati i fornitori critici già individuati, il numero di lavoratori trovati in condizioni di bisogno e gli articoli di lusso sequestrati, pronti per essere rimessi in commercio.
Questa mossa arriva dopo settimane di tensione, in seguito al caso che ha coinvolto [1] il marchio Tod’s: nell’inchiesta sul gruppo sono emerse accuse che potrebbero configurare consapevolezza nella certificazione delle linee di produzione. Davanti al giudice il management ha dichiarato la volontà di collaborare per la «dignità» dei lavoratori, ma la Procura avverte che la linea può irrigidirsi e tradursi in commissariamenti qualora non vengano cambiati gli assetti degli appalti, come già avvenuto per altre grandi case. Dal marzo 2024, il Tribunale di Milano ha infatti disposto l’amministrazione giudiziaria per Alviero Martini spa, Armani Operation, Manufacture Dior, Valentino Bags Lab e Loro Piana di Lvmh: non risultano formalmente indagate, ma si ritiene [2] abbiano agevolato in modo colposo e inconsapevole lo sfruttamento. Il sistema illegale era emerso in tutta la sua gravità già con il caso della fornitura Crocolux di Trezzano sul Naviglio, dove nel 2023 morì un giovane operaio bengalese.
Le indagini mostrano un modello trasversale, con filiere ramificate e fino a sette livelli di subappalto, dove il cuore del profitto illegale è la compressione estrema di costi e diritti. Il cosiddetto “metodo Storari”, molto discusso in ambito giuridico, segna un’inversione di prospettiva: per la prima volta si risale in modo sistematico alla committenza finale, cercando di attribuire responsabilità lungo l’intera catena di produzione. L’azione della Procura meneghina è infatti volta a riportare al centro della responsabilità non solo le piccole officine abusive, ma l’intero sistema del lusso che da esse trae beneficio, con ricarichi che dagli atti risultano poter raggiungere anche il 10.000%.