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Shein: ancora sostanze tossiche oltre i limiti nei capi del colosso del fast fashion

Pochi giorni prima del Black Friday, Greenpeace Germania ha diffuso un report che fa luce (nuovamente) su Shein e sulla sua scarsa attenzione all’uso della chimica. Su 56 capi presi in esame, 18 presentano sostanze tossiche ben oltre il limite consentito dal regolamento europeo REACH [1]. La prima inchiesta, del 2022, aveva evidenziato gli stessi problemi, motivo per cui l’azienda cinese aveva prontamente ritirato i prodotti incriminati dal mercato, dichiarando che si sarebbe messa “in regola”, impegnandosi a migliorare la gestione delle sostanze chimiche. Eppure, ad anni di distanza, la situazione non sembra essere migliorata per niente.

L’analisi, i cui risultati completi sono a disposizione nel rapporto Shame on you, Shein!, sono basati sull’acquisto di 56 capi di abbigliamento e scarpe da Shein in otto paesi differenti, successivamente analizzati presso un laboratorio indipendente e accreditato in Germania. I risultati non sono per niente rassicuranti: 18 prodotti su 56 (32%) hanno superato i limiti REACH dell’UE, compresi alcuni indumenti per bambini (3 articoli);  7 prodotti (giacche) hanno superato i limiti per i PFAS fino a 3.300 volte; 14 prodotti hanno superato i limiti per gli ftalati, 6 di 100 volte o più.

Le sostanze riscontrate (PFAS, ftalati, ecc) sono persistenti e bioaccumulabili, ovvero altamente inquinanti per fiumi, laghi e mari e particolarmente minacciose per gli esseri viventi che si trovano al loro interno (che possono entrare poi a pieno regime nella catena alimentare, con tutti i danni relativi). Ma non solo, sostanze come perfluoroalchilici e i polifluoroalchilici, utilizzati per rendere le giacche idrorepellenti e antimacchia, e gli ftalati, utilizzati come plastificanti nelle calzature, hanno conseguenze anche sulla salute umana, alterando gli ormoni. 

I primi ad essere esposti al rischio sono i lavoratori nei Paesi produttori, ma anche i consumatori finali non sono immuni ai danni diretti ed indiretti provocati dall’eccesso di queste sostanze. Il contatto diretto di questi materiali con la pelle, per esempio sudando, può far entrare in circolo rapidamente le sostanze; anche inalando fibre tessili presenti nell’aria o, nel caso di neonati e bambini piccoli, succhiando o mettendo in bocca abiti contaminati. E non si tratta di esagerazioni, ma di realtà scientificamente provate [2]

Alcuni dei prodotti presi in esame erano gli stessi dei test dell’indagine precedente e, a discapito delle promesse e degli “impegni presi” dall’azienda, questi sono risultati in forma quasi identica, con le stesse sostanze pericolose al loro interno. All’inizio del 2025, infatti, Shein aveva rivendicato importanti miglioramenti nella gestione delle sostanze chimiche, tra cui la pubblicazione di un elenco di sostanze soggette a restrizioni di fabbricazione (MRSL), l’ampliamento dei test interni e l’esclusione dei fornitori non conformi. I risultati dimostrano chiaramente che tutto ciò o non è efficace o non è stato applicato così come dichiarato: i prodotti Shein contengono ancora sostanze chimiche pericolose al di sopra dei limiti UE

Di base, una volta segnalati i prodotti incriminati, Shein si limita a rimuovere i singoli articoli per sostituirne alcuni con dei “cloni” quasi identici, realizzati dallo stesso fornitore. In questa giungla di merce immessa sul mercato a ciclo continuo (la piattaforma offre oltre mezzo milione di modelli, venti volte la gamma di H&M, la cui fibra più usata, 82%, è il poliestere!) ed il grandissimo numero di fornitori con i quali collabora, Shein sembra incapace di monitorare le sostanze chimiche utilizzate nei prodotti che vengono venduti online. O forse non ha alcun interesse a controllare visto che, nonostante ripetute multe da milioni di euro, l’azienda continua a trovare piccole scappatoie doganali e a violare allegramente norme per la tutela dei consumatori e dell’ambiente, eludendo i controlli sulle sostanze chimiche e contribuendo a generare enormi quantità di rifiuti tessili.

Alla luce di ciò, senza puntare il dito su un colosso che non sembra fermarsi davanti a niente e nessuno, la vera domanda da porsi è: perché, quando si tratta di moda, non riusciamo veramente a preoccuparci, se non dell’ambiente e degli altri esseri umani, almeno per la nostra propria salute?

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Marina Savarese

Stilista, docente di moda e comunicazione, scrittrice e co-fondatrice del portale Sfashion-net, dedicato alla moda slow. Per L’Indipendente si occupa di consumo e moda critica.