Dopo trenta giorni di attesa sono state depositate le motivazioni della pronuncia con la quale la Corte dei Conti ha bocciato il progetto del Ponte sullo stretto di Messina. Trentatré pagine di argomentazioni giuridiche che svelano tutte le criticità del progetto su cui punta il governo Meloni. E mentre dal governo si continua a mostrare fiducia, assicurando che i tecnici governativi sono al lavoro per risolvere rapidamente i rilievi della Corte, leggendo il documento emergono punti che in realtà demoliscono dalla base il progetto: violazioni sostanziali delle normative nazionale e comunitarie in tema di appalti, tutela dell’ambiente e degli habitat naturali, nonché rilievi sui costi complessivi dell’opera. Obiezioni giuridiche che vanno ad aggiungersi alla mobilitazione popolare contro il Ponte, che domani 29 novembre, tornerà a manifestare a Messina.
Il primo e forse più grave vizio di legittimità evidenziato [1] dalla Corte concerne la protezione ambientale. I giudici hanno infatti rilevato la piena violazione dell’art. 6, paragrafi 3 e 4, della direttiva 92/43/CE (Direttiva Habitat [2]). Nonostante il parere negativo della Commissione tecnica VIA-VAS sulla Valutazione di Incidenza per tre siti della Rete Natura 2000, il progetto è stato fatto procedere grazie a una delibera del Consiglio dei Ministri che ha approvato la relazione IROPI (Imperative Reasons of Overriding Public Interest). Tuttavia, per la Corte, questa procedura è viziata alla base. «Né maggiori, e più circostanziate, valutazioni sull’assenza di soluzioni alternative alla costruzione del Ponte – tali da integrare adeguata motivazione – sono rinvenibili nella relazione IROPI, che, in modo estremamente sintetico e assiomatico, […] rimarca che “date le motivazioni imperative di sicurezza e di sviluppo economico solo il Ponte sullo stretto, a campata unica, riesce a soddisfare le necessità minimizzando gli impatti ambientali”», si legge nelle motivazioni. Anche le «considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica», che permettono di «prescindere dall’acquisizione di formale parere della Commissione europea e di far ricorso a mera informativa in favore della stessa» sono risultate «prive di adeguata istruttoria svolta dalle strutture tecnico-amministrative dei ministeri competenti».
Il secondo pilastro della pronuncia riguarda la direttiva n. 2014/24/UE (c.d. direttiva Appalti [3]). La Corte rilegge l’articolo 72, che disciplina le modifiche ai contratti pubblici, concludendo che le trasformazioni intervenute negli anni cambiano la natura economica dell’operazione: «Risultano, invero, verificate “condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero attratto ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione”», elementi che avrebbero richiesto l’indizione di una nuova gara. L’opera, che originariamente doveva essere realizzata con project financing (40% capitale privato e 60% mercati), oggi è infatti coperta «integralmente su risorse pubbliche». La Corte osserva, inoltre, che le amministrazioni non hanno fornito i necessari elementi di calcolo, basandosi su «elaborazioni endoprocedimentali mai formalizzate in un provvedimento».
Il terzo capo d’illegittimità è rappresentato dalla scelta di avere escluso l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) dalla procedura di approvazione del piano economico-finanziario e del sistema tariffario. La giustificazione addotta – ovvero che il ponte sullo Stretto rientrerebbe nella categoria di “strada extraurbana di categoria B” – non ha convinto la Corte, che l’ha definita frutto di una «lettura parziale, non condivisibile, del d.l. n. 201/2011 [4]». Tale lettura «ha precluso la partecipazione al procedimento di ART, quale soggetto autonomo e indipendente istituzionalmente preposto, altresì, alla tutela dell’utenza». In un’opera così complessa, il contributo tecnico dell’Autorità sarebbe stato «doveroso», sottolineano i giudici.
A fine ottobre, l’esecutivo non aveva preso bene la bocciatura della Corte dei Conti. In un post sui social, la premier Meloni aveva criticato [5] aspramente i giudici, affermando che si sarebbe battuta contro la loro «intollerabile invadenza, che non fermerà l’azione di governo sostenuta dal Parlamento». Oggi Palazzo Chigi usa toni più concilianti, dichiarando che «il governo è convinto che si tratti di profili con un ampio margine di chiarimento davanti alla stessa Corte, in un confronto che intende essere costruttivo e teso a garantire all’Italia un’infrastruttura strategica attesa da decenni». Quando è uscito il comunicato della Corte, il anche il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini era stato molto duro, scrivendo che «se la casta dei giudici pensa di fermare il cambiamento, la modernità e le opere pubbliche portate avanti da un governo scelto e sostenuto dagli Italiani, ha sbagliato a capire». Il Mit ora dichiara di «prendere atto delle motivazioni della Corte dei Conti», evidenziando che «tecnici e giuristi sono già al lavoro per superare tutti i rilievi e dare finalmente all’Italia un Ponte unico al mondo per sicurezza, sostenibilità, modernità e utilità».
La Corte – occorre ricordarlo – non si esprime sul merito dell’opera, ma solo sulla sua legittimità rispetto a norme di procedura, appalti e ambiente. Dopo il parere contrario dei giudici, l’esecutivo non è obbligato a fermare il progetto. Può infatti presentare una richiesta di riesame, fornendo nuovi chiarimenti. Se la Corte, dopo questo secondo esame, confermerà le sue criticità, potrà apporre un «visto con riserva». In questo caso, la delibera diventerebbe pienamente operativa e i lavori potrebbero iniziare. Tuttavia, il «visto con riserva» è una dichiarazione formale di illegittimità: la Corte segnalerà la cosa al Parlamento, e il governo si assumerà l’onere politico di procedere nonostante il parere sfavorevole dell’organo di controllo. Nel frattempo, lo scorso 18 novembre, la Corte dei Conti ha comunicato [6] di non avere concesso il visto di legittimità al terzo atto aggiuntivo della convenzione tra il Ministero delle Infrastrutture e la società concessionaria Stretto di Messina Spa. Di questa pronuncia di attendono ancora le motivazioni.