Mohamed Shahin, imam della moschea di via Saluzzo, a Torino, è stato oggetto di un decreto di espulsione e rinchiuso in un Centro di Permanenza e Rimpatrio (CPR) per aver affermato che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre furono un atto di resistenza dovuto ad anni di occupazione e decine di guerre. A sollecitarne l’espulsione, nel corso di un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi, è stata la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli. Non appena trapelata la notizia, a Torino è iniziata una mobilitazione spontanea che fino a sera ha riempito le strade del centro e di San Salvario, quartiere dove ha sede la moschea di Shahin. I movimenti per la Palestina accusano il governo di aver colpito Shahin per essersi pubblicamente esposto e aver dato voce a un’idea condivisa dalle piazze che da due anni chiedono la fine della guerra.
«Il 7 ottobre è il risultato di un’occupazione di 80 anni, di 11 guerre che sono successe prima del 7 ottobre»: queste sarebbero le dichiarazioni incriminate, che hanno valso a Mohamed Shahin un decreto di espulsione. Queste posizioni sono state esposte apertamente nel corso di numerose manifestazioni e ribadite alla stampa durante un corteo del 9 ottobre scorso, durante il quale aveva aggiunto che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre sono stati un tentativo, da parte dei palestinesi, di «svegliare il mondo perchè prestasse attenzione alla loro causa». Per questo, Shahin si è visto revocate il permesso di soggiorno e recapitare un decreto di espulsione. Dopo essere stato detenuto in un primo momento nel CPR di Torino, Shahin è stato trasportato in quello di Caltanissetta e da qui verrà rimandato nel suo Paese d’origine, l’Egitto. Il suo rimpatrio potrebbe comportare per lui la detenzione, se non anche la morte, dal momento che in patria è considerato un dissidente per la sua aperta opposizione al regime di Al Sisi. Recentemente, l’Italia ha inserito l’Egitto nella lista dei Paesi sicuri, nonostante nel Paese sia in vigore un regime violento e la stessa Corte di Giustizia UE si sia detta contraria a tale designazione.
L’arresto di Shahin ha sollevato un’immediata ondata di rabbia e solidarietà in città: l’uomo è infatti una figura centrale nell’ambito delle mobilitazioni per la Palestina, nonchè un riferimento per la comunità musulmana del quartiere di San Salvario. Da oltre vent’anni Shahin vive in Italia insieme alla moglie e ai figli. Subito dopo la notizia del suo arresto è nato [1] il coordinamento Free Mohamed Shahin, che in un comunicato ha sottolineato come ciò che ha portato all’arresto dell’imam sia l’aver sostenuto una posizione condivisa dalle piazze per la Palestina. Il coordinamento ha accusato il governo di star tentando di creare divisioni e fermare «l’incredibile sollevazione mondiale per la Palestina». Per i movimenti, Shahin sarebbe stato preso di mira in quanto «ricattabile», in ragione del suo permesso di soggiorno. Nella serata di ieri, 25 novembre, decine di persone erano in piazza per chiedere la sua liberazione e sono previste mobilitazioni anche per oggi, alle ore 18, nei pressi delle prefetture.
Non è la prima volta che soggetti di origine araba e palestinese, anche di alto profilo, vengono perseguiti in Italia per via delle loro idee politiche dopo il 7 ottobre 2023. Solamente un anno fa, l’imam [2] di Bologna Zulfiqar Khan era stato espulso dal Paese con un analogo decreto del ministro Piantedosi e rimandato in Pakistan, suo Paese d’origine, nonostante vivesse in Italia da trent’anni. Il suo decreto di espulsione, giunto a seguito della presa di posizione netta, da parte dell’imam, a favore della Palestina, citava una «propensione a posizioni radicali». Un mese fa, poi, il Comune di Milano aveva notificato [3] al presidente dell’Associazione Palestinesi d’Italia, Mohamed Hannoun, un foglio di via dalla città, accusandolo di istigazione alla violenza. Nel corso di un corteo svoltosi il 18 ottobre scorso, infatti, Hannoun aveva così commentato le esecuzioni pubbliche che sarebbero state portate a termine da Hamas: «Tutte le rivoluzioni del mondo hanno le loro leggi. Chi uccide va ucciso, i collaborazionisti vanno uccisi. Oggi l’Occidente piange questi criminali, dicono che i palestinesi hanno ucciso poveri ragazzi. Ma chi lo dice che sono poveri ragazzi?».