I dirigenti di Meta si trovano nuovamente nella posizione di dover convincere il mondo che, nonostante quanto emerge da alcuni messaggi interni trapelati, il loro modo di gestire i social non rappresenti un pericolo per la società e, soprattutto, per i minori. Documenti giudiziari parzialmente desecretati suggeriscono infatti che l’azienda avrebbe per anni minimizzato i rischi delle sue piattaforme per i giovani, ignorando ricerche interne che evidenziavano effetti negativi su salute mentale, sicurezza e benessere degli adolescenti, e mantenendo al contempo una notevole tolleranza verso diverse forme di sfruttamento sessuale.
La rivista Time [1] ha recentemente portato all’attenzione pubblica un nuovo dossier [2]relativo a una causa multidistrettuale che, avviata nel 2022, coinvolge ormai migliaia di querelanti. Secondo l’accusa, le piattaforme di Meta – ma anche TikTok, YouTube e altri social media – sarebbero deliberatamente progettate per creare dipendenza nei minori, un’interpretazione che sembra essere supportata da testimonianze, email interne e rapporti sviluppati da quattro diversi esperti indipendenti. In più occasioni, funzionari di Meta avrebbero descritto i loro stessi servizi come “droghe digitali”, arrivando a definirsi ironicamente “pusher” mentre, parallelamente, le ricerche interne che mettevano in luce le criticità dei portali venivano eliminate silenziosamente prima di raggiungere l’occhio pubblico.
Il fascicolo riporta, per esempio, che nel 2019 Meta avesse avviato uno studio sull’effetto dell’allontanamento dei giovani da Instagram e Facebook: dopo appena una settimana di pausa, i partecipanti mostravano livelli più bassi di ansia, depressione e solitudine. L’azienda ha dunque deliberatamente evitato di divulgare tali risultati, sostenendo che questi fossero influenzati da “narrative mediatiche preesistenti” ostili a Meta. Un dipendente avrebbe dunque paragonato la scelta di nascondere i dati alle pratiche adottate anni addietro dell’industria del tabacco, le quali hanno occultato per decenni le prove dei danni alla salute causati dalle sigarette. Da anni, intanto, il CEO Mark Zuckerberg continua a sostenere davanti al mondo politico che la tutela dei giovani rappresenti una priorità per Meta, negando qualsiasi correlazione tra l’uso delle piattaforme e il disagio psicologico.
Tra le rivelazioni più gravi spiccano le testimonianze di dirigenti che avrebbero denunciato una tolleranza eccessivamente ampia nei confronti di contenuti legati allo sfruttamento sessuale dei minori, con soglie di intervento così alte da permettere a utenti segnalati decine di volte di rimanere attivi. “Potevi accumulare sedici violazioni per prostituzione o sollecitazione sessuale e solo alla diciassettesima l’account veniva sospeso”, avrebbe testiimoniato Vaishnavi Jayakumar, ex responsabile della sicurezza e del benessere di Instagram, entrata in Meta nel 2020.
Benché anche TikTok, Snapchat e YouTube siano accusati di essere consapevoli degli effetti di dipendenza generati nei giovani, Meta si staglia per la gravità e l’ampiezza delle contestazioni, oltre che per l’ipotesi che alcuni suoi dirigenti abbiano fornito testimonianze fuorvianti anche quando sotto giuramento davanti al Congresso statunitense. Del resto, la Big Tech non è nuova a scandali: Facebook è già stato accusato [3]da whistleblower di essere pericoloso per i minori, di aver [4]influenzato processi elettorali e, secondo alcune inchieste [5], di aver facilitato almeno un genocidio. L’idea che Instagram e Facebook possano costituire un terreno fertile per l’adescamento dei minori non appare dunque difficile da credere, ancor più che Meta ha già dimostrato [6] una certa flessibilità nel proporre contenuti sessuali ai giovani, qualora questo gli consenta di mantenere alte le interazioni sui suoi portali. Nonostante questo, l’attenzione dei legislatori sembra voler incanalare la lotta alla pedopornografia verso misure che erodono la privacy [7] delle persone, invece che sulla piena responsabilizzazione delle grandi aziende tecnologiche d’oltreoceano.