Telefoni che squillano durante la prova senza conseguenze, conversazioni tra candidati, copiature da dispositivi elettronici, foto e video del test diffusi online prima della fine dell’esame, chiacchiere tollerate tra candidati, gravi falle nella vigilanza, regole applicate a macchia di leopardo. È questo il quadro che emerge dalle segnalazioni di irregolarità da parte degli studenti che il 20 novembre hanno sostenuto il nuovo test del semestre filtro dell’Università di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria, che ha sostituito il test d’ingresso. Le associazioni studentesche e di categoria, sostenute dai partiti di opposizione, chiedono l’apertura di un’indagine e le dimissioni della ministra dell’Università Anna Maria Bernini che, dal canto suo difende l’esame e tira dritto: «La macchina ha retto, i furbetti li troveremo».
Le prime prove del semestre filtro a Medicina, che hanno riguardato circa 55 mila studenti, sono state un «susseguirsi di errori e disorganizzazione», accusa l‘Unione degli Universitari, che annuncia un ricorso collettivo che chieda per tutti l’ingresso in soprannumero e nella prima sede. «Il numero chiuso va abolito, non reinventato peggio», spiega l’UdU. Per rispondere al malcontento e per chiedere le dimissioni della ministra Bernini, è già stato acquistato il dominio berninidimettiti.it. La piattaforma è già pronta per andare online e iniziare la raccolta firme. Anche il Pd attacca la ministra, chiedendole di riferire in Aula.
Il caos che si è generato rischia di diventare il punto di svolta di una riforma che ha preso il via sotto la bandiera dell’apertura, ma rischia di essere ricordata come una selezione di fatto più labirintica che liberatoria. In pratica, il modello del nuovo test del semestre filtro era stato annunciato come una rivoluzione a favore dell’accesso all’università e della valorizzazione del merito e della trasparenza, ma già prima dell’esame erano emerse perplessità [1]: anonimato a rischio, condizioni d’esame non omogenee, obblighi di frequenza diversi da ateneo ad ateneo e il tempo di preparazione. L’idea era di rendere l’accesso più inclusivo e meno basato su una sola prova d’ingresso, ma la realizzazione ha mostrato delle crepe che ora rischiano di minare tutto l’impianto. Intanto, il ministero dell’Università ha annunciato che indagherà e annullerà le prove solo nei casi in cui sarà accertata la responsabilità individuale, per ripristinare «il pieno rispetto delle procedure previste». L’eventuale annullamento non riguarderà tutta la procedura, ma solo l’esame del singolo candidato individuato come responsabile di irregolarità. Anche la Conferenza dei rettori assicura «totale intransigenza».
Il rovescio della riforma è che, se da un lato si elimina il test d’ingresso tradizionale, dall’altro si introduce un sistema che appare tutt’altro che trasparente e omogeneo. Le disparità di accesso alle risorse, alle modalità di frequenza e ai controlli mostrano che il cambiamento annunciato rischia di generare nuova selettività mascherata. Alcune università avrebbero applicato controlli rigidi, mentre altre sedi avrebbero mostrato una vigilanza molto meno stringente, affidata alla buona volontà dei commissari, creando così disparità tra i candidati. In un contesto già complesso come quello dell’università italiana, queste tensioni rischiano di amplificarsi con conseguenze sul diritto allo studio e sull’equità tra candidati. Chi ha sostenuto il test senza intoppi adesso deve solo aspettare: entro il prossimo 3 dicembre sarà pubblicato sulla piattaforma Universitaly l’esito degli esami del primo appello. La seconda sessione, prevista per il 10 dicembre resta confermata, ma il clima è cambiato: migliaia di studenti torneranno sui banchi di prova in un’atmosfera carica di risentimento.