La procura di Milano ha avviato una indagine per caporalato contro l’azienda italiana di moda Tod’s. A finire sotto la lente degli inquirenti sono lo stesso marchio di lusso e tre dirigenti. La procura li accusa di avere sfruttato la manodopera degli operai che lavorano nella filiera produttiva dell’azienda: i lavoratori verrebbero pagati 2,75 euro l’ora, lavorando a tutte le ore, anche durante i giorni festivi, senza contratto e dormendo in dormitori abusivi; per tale motivo, gli inquirenti chiedono di vietare a Tod’s di pubblicizzare i propri prodotti per sei mesi. Tod’s è solo l’ultimo marchio di lusso a finire sotto il mirino della Procura meneghina. Il pm aveva già chiesto l’amministrazione giudiziaria per Alviero Martini spa, Armani Operations, Dior, Loro Piana e Valentino per analoghe questioni. Con la nuova richiesta, la procura introduce un salto di livello negli accertamenti, accusando Tod’s direttamente di sfruttamento.
Gli operai coinvolti nel caso di sfruttamento sono 56 persone di nazionalità cinese e lavorano per 6 distinte aziende che forniscono i prodotti a Tod’s, tutte distribuite tra la Lombardia e le Marche. La procura sostiene che nonostante abbia affidato a terzi i lavori di monitoraggio sul rispetto dei diritti dei lavoratori negli stabilimenti, il marchio di lusso sia direttamente colpevole di sfruttamento perché non avrebbe tenuto «minimamente conto» dei risultati delle «ispezioni». Nella documentazione presentata, lunga 144 pagine, la procura sostiene infatti che Tod’s e i tre dirigenti – Simone Bernardini, Mirko Bartoloni e Vittorio Mascioni – avessero «piena consapevolezza» delle condizioni di lavoro di sfruttamento degli operai, parlando di «cecità intenzionale». Secondo l’accusa, è certo che i vertici aziendali fossero a conoscenza delle condizioni di lavoro degli operai in subappalto perché informati con decine di audit. L’udienza sul caso è prevista il prossimo 3 dicembre.
A capo delle indagini c’è il pm Paolo Storari, promotore di quello che ha ormai preso il nome di “metodo Storari”, che consiste nell’indagare non solo le aziende appaltatrici e subappaltatrici, ma anche i committenti. Tod’s si è smarcata dalle accuse affermando di «fare dei valori etici una bandiera», e di stare analizzando «con tranquillità il nuovo materiale». L’azienda parla di un «preoccupante tempismo» con cui Storari avrebbe presentato l’accusa: il riferimento è alla pronuncia della Cassazione sulla richiesta di commissariamento dell’azienda avanzata dallo stesso Storari, rilasciata il 19 novembre. Prima di accusare l’azienda di caporalato, Storari aveva infatti chiesto di mettere Tod’s sotto amministrazione giudiziaria [1], accusandola di non avere effettuato i dovuti controlli sugli opifici dei propri subappaltatori, e di avere così agevolato lo sfruttamento dei lavoratori. Tale richiesta era stata rigettata due volte non per questioni di merito, ma formali: la scorsa estate, infatti, erano finiti sotto indagine solo gli stabilimenti nelle Marche; i giudici sostenevano dunque che la competenza sul caso fosse della procura di Ancona. Il 19 novembre, la Cassazione ha rigettato nuovamente la richiesta di Storari, ma le motivazioni della sentenza non sono ancora pubbliche.
Nell’ultimo anno e mezzo, Storari ha chiesto l’amministrazione giudiziaria per numerose altre aziende di moda. Le indagini sono state avviate la scorsa estate: in quel periodo era stata svolta una inchiesta anche su Loro Piana [2], marchio di lusso specializzato in indumenti in cashmere. Anche nel caso di Loro Piana, il pm aveva chiesto il commissariamento ricostruendo un sistema di caporalato e sfruttamento a danno degli operai. Gli altri brand di lusso coinvolti [3] sono Alviero Martini, Armani Operations, Manufactures Dior e Valentino Bags Lab. Con l’accusa di caporalato, Storari compie un salto di livello nelle indagini che stanno coinvolgendo le aziende di moda italiane: Tod’s, infatti, non è più accusata di non avere effettuato i controlli dovuti, ma di essere a conoscenza delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, e di aver deliberatamente ignorato la situazione; non sarebbe insomma più una questione di colpe, ma di vero e proprio dolo.