Dopo tanto tempo in cui a livello internazionale si parla di Rinascimento psichedelico, anche l’Italia sembra aver trovato la strada per realizzare il suo. Ultimamente, infatti, anche nel nostro Paese, sono state messe in moto diverse iniziative che potrebbero portare al traguardo finale: quello di permettere anche a medici, psichiatri e psicoterapeuti di espandere gli strumenti di cura per i pazienti con sostanze come LSD, psilocibina, MDMA e DMT. La novità più importante è il fatto che di recente nel nostro Paese è stato autorizzato il primo studio clinico, che sarà quindi eseguito su pazienti, per indagare le potenzialità della psilocibina, il principio attivo dei funghetti magici, nel trattamento della depressione resistente, che non risponde cioè ai farmaci tradizionalmente impiegati in questo tipo di cure.
«Anzitutto va detto che il nostro è uno studio multicentrico, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e condotto presso l’Ospedale di Chieti – con il contributo dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara (Prof. Martinotti, Dr. Pettorruso) – la ASL Roma 5 (Dr. Nicolò, Dr.ssa De Risio) e il Policlinico Riuniti di Foggia (Prof. Bellomo, Dr. Ventriglio)», racconta a L’Indipendente Francesca Zoratto, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità e Principal Investigator del progetto.
«Lo studio coinvolge pazienti con depressione resistente e confronta due trattamenti attivi: la psilocibina, somministrata in ambiente clinico controllato, e la neuromodulazione accelerata (rTMS). Vogliamo capire quanto e per chi ciascun trattamento funzioni meglio e attraverso quali circuiti cerebrali. Ogni partecipante viene valutato prima del trattamento, assegnato in modo casuale a uno dei due bracci e seguito per circa due mesi con visite cliniche e misure strumentali (EEG e risonanza magnetica funzionale). L’obiettivo finale è personalizzare la cura, identificando biomarcatori che orientino la scelta terapeutica. Per ragioni etiche, non usiamo placebo: entrambi i bracci offrono un trattamento con efficacia già documentata». Sul come avverrà, nella pratica, la ricercatrice ci racconta i diversi passaggi. Il punto di partenza è la selezione con il consenso informato di persone con diagnosi di depressione resistente e la loro valutazione basale, quella delle caratteristiche di partenza tramite esami che comprendono scale cliniche, EEG e risonanza magnetica funzionale. Poi sarà assegnato casualmente a uno dei due percorsi: quello con la psilocibina e quindi «somministrazione unica in setting clinico, con monitoraggio medico e supporto durante e dopo la sessione». In alternativa la «rTMS accelerata: ciclo intensivo di stimolazione magnetica transcranica secondo protocolli clinici consolidati». I pazienti vengono poi seguiti con un follow-up che durerà fino a 60 giorni con visite, scale dei sintomi, monitoraggio sicurezza e ripetizione di EEG/fMRI. Infine, è prevista «l’analisi comparativa degli esiti e delle modifiche dei network cerebrali per individuare predittori di risposta e guidare una psichiatria di precisione».
Psichedelici: per quali patologie?

cessazione del fumo
La depressione è una delle principali patologie per cui gli psichedelici sono stati studiati in passato e oggi sono tornati al centro della ricerca. In particolare, la depressione maggiore e la depressione resistente ai farmaci tradizionali. Ma le patologie su cui potrebbero agire, e su cui la scienza da tempo sta fornendo dati utili, sono diverse. «In base alle evidenze più solide, la psilocibina si sta rivelando promettente soprattutto nella depressione resistente e nella depressione maggiore. Dati emergenti indicano utilità anche nei disturbi da uso di alcol e nella cessazione del fumo; risultati ancora preliminari riguardano il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), l’emicrania/cefalea a grappolo e l’anoressia», sottolinea la ricercatrice, che puntualizza: «L’interesse clinico nasce dalla capacità della molecola di modulare la plasticità neurale e i circuiti cerebrali; ciò può aiutare ad esempio a “sbloccare” schemi di pensiero rigidi».
Ma i campi di applicazione potrebbero essere davvero tanti. Secondo Nicholas Barnes, professore di Neurofarmacologia dell’Università di Birmingham, «sempre più prove dimostrano che le sostanze psichedeliche potrebbero essere la chiave per gestire l’infiammazione, uno dei principali fattori scatenanti di molte malattie croniche, tra cui depressione, artrite e malattie cardiache». E le prove le ha di recente messe in fila in un articolo che ripercorre le recenti scoperte che vanno in questa direzione per ipotizzare che «la prossima generazione di trattamenti antinfiammatori potrebbe derivare da quelli che chiamo farmaci Pipi, composti psichedelici ma inattivi. Si tratta di farmaci progettati per imitare i benefici terapeutici delle sostanze psichedeliche senza causare allucinazioni». Secondo un recente studio pubblicato su Npj Aging, rivista scientifica che fa parte del network di Nature, la psilocibina potrebbe essere considerata come l’elisir di lunga vita. «Forniamo la prima prova sperimentale che il trattamento con psilocina (il metabolita attivo della psilocibina) prolunga la durata della vita cellulare e che il trattamento con psilocibina favorisce una maggiore longevità nei topi anziani, suggerendo che potrebbe essere un potente agente geroprotettivo».
Dallo studio del cervello alla formazione della coscienza
Le sostanze psichedeliche, però, sono importanti anche per altri aspetti. Uno dei principali è che sono state fondamentali nell’aiutare i neuroscienziati a capire come funzioni il nostro cervello, con scoperte costanti nel tempo, e probabilmente non ancora esaurite. Ad esempio, molte scoperte sul sistema serotoninergico e sui suoi diversi sottotipi recettoriali sono state possibili grazie alla LSD, altre grazie alle anfetamine. In fondo è logico: una molecola capace di agire sul sistema nervoso può rivelarne molti dei meccanismi interni.

I temi più affascinanti della ricerca sono anche quelli che ci riguardano più da vicino: secondo branche della ricerca gli psichedelici potrebbero essere alla base della formazione della nostra coscienza. «Da una prospettiva evolutiva, si ipotizza che l’ingestione di psilocibina possa aver contribuito al miglioramento delle capacità visive e del successo riproduttivo delle comunità che facevano uso di questi funghi», scrivono ad esempio nelle conclusioni di un interessante studio scientifico pubblicato su Lilloa da ricercatori peruviani che hanno condotto una revisione della letteratura scientifica a oggi disponibile per sondare questa complessa tematica. L’idea che sottende a questa ricerca è che: «L’origine della coscienza umana è una delle grandi domande che l’uomo deve affrontare e il materiale raccolto indica che la psilocibina potrebbe aver contribuito al suo sviluppo iniziale». Come? «L’ipotesi che i funghi psilocibina possano essere intervenuti come fattore nell’evoluzione della coscienza umana, sia come catalizzatori di esperienze mistiche sia come motori di processi cognitivi, solleva profonde riflessioni sull’interazione ancestrale tra gli esseri umani e il loro ambiente naturale».
L’evoluzione italiana
Era il 2017 quando l’Università di Torino ospitò il convegno della SISSC, Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza, fondata nel 1990 dall’etnopsicologo e psicoterapeuta Gilberto Camilla, decano degli studiosi italiani, con un invito aperto a ricercatori stranieri che raccontassero la loro esperienza all’estero. «Da quell’esperienza», ricostruisce la dottoressa Tania Re, antropologa, psicoterapeuta, nonché socia fondatrice della prima Cattedra Unesco Salute, Antropologia, Biosfera e sistemi di cura, «derivarono un altro convegno all’Università di Milano e un incontro al Parlamento Europeo, con una prima richiesta di finanziamenti che coinvolgessero anche la ricerca sugli psichedelici». L’interesse a livello europeo e internazionale continua a crescere come testimoniato dall’aumento delle pubblicazioni scientifiche e anche dall’uso clinico degli psichedelici. Se l’uso compassionevole, e quindi limitato e sperimentale, è permesso in Paesi come il Canada, la Svizzera, USA e Israele, il 2023 è l’anno in cui tutto cambia, perché l’Australia diventa il primo Paese al mondo a permettere agli psichiatri di prescrivere psilocibina e MDMA per una serie di patologie. Oggi in Europa anche la Repubblica Ceca ha autorizzato una legge per l’uso della psilocibina in medicina, che sarà effettiva dal 2026. Altro Paese europeo che di recente ha legiferato per permettere l’uso compassionevole degli psichedelici è la Germania, che, a certe condizioni, permette ai pazienti di accedere a questi trattamenti. In realtà, secondo l’Associazione Luca Coscioni, che in Italia tiene viva da anni la battaglia per gli psichedelici, sarebbe possibile utilizzarli già oggi anche nel nostro Paese, perché, anche in assenza di una legge esplicita, l’uso compassionevole di farmaci sperimentali – psichedelici compresi – è già previsto dalla normativa vigente (Regolamento UE 726/2004, DM 2017).

«In Italia in questi anni è stata usata l’esketamina in alcuni ospedali, perché è l’unico psichedelico che è classificato come un farmaco, sulle altre sostanze l’Italia è mancante, seriamo che lo studio avviato possa aiutare a colmare il divario», ricorda la dottoressa Re. «Nel frattempo sono nate due nuove società scientifiche. Una è Maps Italia, filiale italiana dell’associazione statunitense fondata dal celeberrimo Rick Doblin, nata mentre negli Stati Uniti sperimentavano l’MDMA in studi di fase III, ed è nata Simepsi, società scientifica italiana. Mentre nel 2024 Rovereto ha ospitato un convegno organizzato dall’Università di Trento, dove è tornata a lavorare da Londra l’esperta e premiata ricercatrice Ornella Corazza».
Simepsi nasce a febbraio del 2024, «con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo armonico e scientificamente fondato e eticamente orientato della medicina psichedelica in Italia e non solo», racconta il cofondatore Matteo Buonarroti, terapeuta certificato in terapia assistita con gli psichedelici. «Mancava un’organizzazione scientifica specializzata in medicina psichedelica, e quindi abbiamo colmato il gap, con l’idea di coinvolgere diverse professionalità e organizzazioni che si vogliono avvicinare alla tematica. È rivolta solo a professionisti come medici, psicologi e ricercatori e le attività sono diverse: da quelle formative a quelle divulgative, in attesa di contribuire con le istituzioni per creare linee guida sulla base delle competenze di Simepsi e quelle presenti a livello internazionale, dove siamo in contatto con diverse associazioni».
Insomma, dopo tanti anni passati in sordina, anche l’Italia cerca di riprendersi il posto che merita nello studio di queste sostanze, come testimonia anche l’ultima iniziativa in ordine di tempo, che vede Illuminismo psichedelico, podcast prodotto dall’associazione Coscioni e condotto dallo scrittore Federico Di Vita, trasformarsi in una academy per proporre un corso di formazione ai professionisti di domani.