Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato ieri sera la risoluzione presentata dagli Stati Uniti per la Striscia di Gaza, raccogliendo 13 voti favorevoli dei 15 Stati membri e le astensioni di Russia e Cina che hanno evitato l’uso del veto. Il piano [1] in 20 punti, elaborato dal presidente americano Donald Trump, prevede la creazione di un’autorità transitoria nella Striscia e l’invio di una forza internazionale di stabilizzazione incaricata di supervisionare la sicurezza, la ricostruzione e il disarmo di Hamas. Sul campo, la tregua resta fragile: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ribadisce il suo no alla creazione di uno Stato palestinese, mentre Hamas respinge l’invio di forze internazionali a Gaza.
La risoluzione approvata dall’ONU incorpora il piano Trump, che punta a stabilire nella Striscia un organismo chiamato “Board of Peace”, un organo di “governance transitoria” a Gaza fino al 31 dicembre 2027, presieduto da Trump e sostenuto da Paesi partner, con l’obiettivo di assumere funzioni di governo, coordinare la ricostruzione e garantire una transizione verso una forma di autogoverno palestinese tecnocratico. Il mandato della forza internazionale autorizzata comprende il controllo delle frontiere, la smilitarizzazione dell’area e il monitoraggio della gestione delle armi. Il testo prevede anche che, una volta realizzati gli obiettivi iniziali, si possa promuovere una “via credibile” verso l’autodeterminazione palestinese. La fumata bianca dell’ONU conferisce al piano una legittimazione internazionale significativa: l’azione sarà ora accompagnata da una serie di scadenze tecniche e politiche che dovranno tradursi rapidamente in passi concreti. Mentre Trump [2] ha celebrato il voto sulla sua piattaforma Truth Social come «un momento storico», Hamas [3] invece si è opposto alla risoluzione, giudicandola “pericolosa” e sostenendo che non soddisfa «le richieste e i diritti politici e umanitari del popolo palestinese».
Le astensioni della Russia e della Cina si sono rivelate decisive. La loro astensione ha consentito l’approvazione della risoluzione senza un voto contrario, che avrebbe potuto bloccare il testo. Nei giorni scorsi la Russia aveva presentato una bozza alternativa. Mosca e Pechino, pur non opponendosi formalmente, hanno sollevato riserve riguardo alla definizione del ruolo dell’ONU nella futura governance della Striscia e sulle modalità di implementazione del piano. L’ambasciatore cinese Fu Cong ha motivato la sua astensione dichiarando che la bozza è «carente sotto molti aspetti», mentre l’ambasciatore russo Vassily Nebenzia ha affermato che la risoluzione «semplicemente non si poteva sostenere», lamentando l’assenza della formula fondamentale dei due Stati e l’indeterminatezza sui tempi per il trasferimento del controllo di Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese. Per gli Stati Uniti è una vittoria diplomatica che rafforza la loro presenza nell’arena mediorientale; per Israele e i partner arabi che sostenevano l’iniziativa è un segnale forte, sebbene questi ultimi avessero richiesto un linguaggio più forte a favore del riconoscimento palestinese.
Con la risoluzione entrata in vigore, i prossimi passi riguardano la nomina dei componenti del Board of Peace, la mobilitazione della forza internazionale, la ridefinizione del controllo su Gaza e l’avvio della ricostruzione infrastrutturale su vasta scala. Restano sul tavolo nodi tutt’altro che risolti: il disarmo di Hamas, la gestione del ritorno dei rifugiati, la ricostruzione in condizioni di emergenza e, soprattutto, la natura e i tempi della governance palestinese futura. Intanto, Netanyahu [4] ha ribadito che Israele si oppone alla creazione di uno Stato palestinese «in qualsiasi territorio a ovest del Giordano», affermando che Gaza dovrà essere «smilitarizzata e Hamas disarmata, nel modo più facile o nel modo più difficile». Dello stesso avviso il capo dell’IDF, Eyal Zamir [5], secondo cui le forze israeliane devono essere pronte a una transizione rapida verso un’offensiva su vasta scala per occupare ulteriori aree della Striscia di Gaza «oltre la Linea Gialla». Tra le continue violazioni della tregua da parte di Israele, le tensioni tra l’IDF e il contingente internazionale dell’UNIFIL [6] e la situazione drammatica sul campo per la popolazione palestinese, la linea di Tel Aviv, impermeabile a pressioni internazionali, rende ancora più incerto il percorso verso una pace duratura e rischia di svuotare la stessa risoluzione ONU della sua capacità di incidere sul terreno.