I trattori si preparano dare di nuovo battaglia contro i piani europei per l’agricoltura. Secondo la denuncia di Coldiretti, infatti, il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2028-2034 proposto dal presidente della Commissione Ue, Ursula von del Leyen, avrà come unico effetto quello di «affamare l’Europa». Secondo le accuse, la proposta ridurrà la sovranità alimentare, rendendo l’UE ancora più dipendente dalle importazioni, mentre altre potenze mondiali investono nel settore. I fondi della Politica Agricola Comune (PAC) verrebbero inoltre dirottati verso i “piani integrati territoriali” e non verso gli agricoltori, minacciando l’esistenza stessa di una politica agricola comune europea. Coldiretti (da anni vicina a Meloni) ha dunque inviato un documento al Parlamento UE, chiedendo di respingere la proposta. Dal canto suo, il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, si era già detto contrario al Fondo Unico.
La protesta degli agricoltori, che ha preso [1] piede con forza a partire dal 2023, affonda le proprie radici in una serie di problematiche comuni strutturali, tra le quali i prezzi agricoli troppo bassi, l’aumento dei costi di produzione e una concorrenza sleale scatenata dalle importazioni a basso costo. L’ondata di malcontento ha già visto in azione [2] i coltivatori ungheresi, che la scorsa estate hanno scaricato letame davanti al quartier generale dell’UE a Budapest. Attualmente, il punto di maggior attrito è rappresentato dai segnali di taglio che arrivano dalla Commissione. Le organizzazioni di categoria denunciano con forza l’ipotesi di un indebolimento strutturale della PAC. In Italia, la Coldiretti ha accusato [3] il piano di Von der Leyen di «affamare l’Europa», lamentando l’assenza di un incremento di risorse necessario per affrontare l’inflazione e le sfide globali e paventando una «svolta dirigista».
Confagricoltura ha tracciato [4] dieci «linee rosse» che rendono inaccettabili le proposte di riforma, riassumendo chiaramente i timori della filiera. Tra i punti critici spiccano la richiesta di una «netta inversione di tendenza» rispetto ai tagli sul bilancio agricolo, la necessità di garantire prezzi remunerativi per i produttori, la semplificazione burocratica e la ferma opposizione a qualsiasi ipotesi di «rinazionalizzazione» attraverso l’accorpamento con i piani integrati territoriali. Inoltre, le associazioni agricole italiane insistono [5] per un cambio di rotta che riconosca il ruolo strategico dell’agricoltura per la sicurezza alimentare e per la gestione del territorio, chiedendo una maggiore attenzione alla specificità della filiera.
Questa prospettiva è condivisa a livello continentale. Varie sigle europee, pur condividendo l’intento della transizione, hanno denunciato [6] un vero e proprio «smantellamento della PAC», criticando fortemente l’annunciato taglio del 20% delle risorse e un’eccessiva centralizzazione della gestione a livello nazionale, che metterebbe a rischio i redditi e aumenterebbe le disparità tra gli Stati membri. Copa-Cogeca, l’organizzazione che rappresenta 22 milioni di agricoltori, già nel maggio scorso aveva lanciato [7] un avvertimento categorico in occasione delle conferenze sul bilancio: «Senza un bilancio protetto e dedicato all’agricoltura, la politica agricola dell’UE potrebbe crollare come un castello di carte». Le preoccupazioni vertono sul rischio che il Fondo Europeo Agricolo di Garanzia (FEAGA) e il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR), pilastri della PAC, vengano compromessi a favore di altre priorità come la difesa e l’innovazione.
L’attuale dibattito sulla PAC post-2027 è molto più di una controversia tecnica. È una sfida politica che mette in luce la frustrazione di un settore fondamentale che si sente schiacciato tra costi crescenti e la pressione di importazioni che non rispettano gli stessi standard di qualità e produzione europei. Le proteste, energiche e capillari, rappresentano un monito inequivocabile ai leader di Bruxelles: un futuro sostenibile per l’Europa non può prescindere da un’agricoltura economicamente vitale e adeguatamente tutelata. Tutto da vedere cosa farà il governo italiano, il quale si era già espresso contro il fondo unico. Eppure il governo Meloni ha sostenuto il governo europeo di von der Leyen. Sullo sfondo c’è anche da considerare la questione dei dazi americani e i rapporti tra USA e UE. Il quadro risulta quindi molto complesso.