Bruxelles rilancia la sua offensiva contro la “disinformazione”, annunciando la creazione di un nuovo centro di contrasto alle fake news, pilastro dello “Scudo europeo per la democrazia”. Presentata come risposta alle interferenze straniere e alla proliferazione di contenuti falsi o alterati, l’iniziativa ha l’obiettivo dichiarato di «rafforzare, proteggere e promuovere democrazie forti e resilienti» nel Vecchio Continente. Al centro di questo piano a tutela delle istituzioni e dell’integrità del dibattito pubblico ci sono le accuse mosse alla Russia, accusata di aver condotto campagne di destabilizzazione online in tutta Europa.
Nel documento [1] di trenta pagine, Bruxelles [2] parla di un’infrastruttura necessaria per difendere la democrazia, proteggere elezioni, istituzioni e cittadini. «La democrazia liberale è sotto attacco. Assistiamo a campagne – anche da parte della Russia – specificamente concepite per polarizzare i nostri cittadini, minare la fiducia nelle nostre istituzioni e inquinare la politica nei nostri Paesi», ha spiegato l’Alta rappresentante UE, Kaja Kallas [3]. L’iniziativa approda in un contesto segnato da una crescente centralizzazione del controllo informativo: tra newsroom finanziate, reti di fact-checking integrate e programmi che indirizzano l’agenda editoriale, l’UE ha già costruito un’architettura che orienta in profondità il dibattito pubblico. Il nuovo centro rischia di completare un sistema in cui la lotta alla disinformazione diventa strumento di gestione del consenso più che di tutela democratica. Lo Scudo europeo per la democrazia [4] prevede un organismo dotato di tecnologie avanzate e competenze analitiche per individuare minacce narrative, campagne coordinate e presunte manipolazioni online. Per quanto i dettagli siano ancora nebulosi, la Commissione intende creare una cabina di regia permanente in grado di cooperare con governi, piattaforme digitali e redazioni, segnalando contenuti “a rischio” e allertando gli Stati membri. La componente più concreta dello scudo sarà, infatti, un nuovo Centro Europeo per la Resilienza Democratica, al quale gli Stati membri potranno aderire su base volontaria. Opererà come un hub dedicato allo scambio tra le istituzioni UE e i 27, collegando strutture esistenti che si occupano delle minacce nello spazio informativo. A coadiuvarne i lavori, una piattaforma che riunirà ong, think tank, ricercatori e fact-checker, inclusi l’Osservatorio europeo dei media digitali (EDMO) e la creazione di una rete europea indipendente di fact-checkers, gestita nell’ambito del Centro. La novità è la natura centralizzata della struttura: non più una rete di iniziative sparse, ma un polo unico. Bruxelles insiste sul carattere difensivo dell’operazione, ma la scelta di affiancare al centro una strategia di “prebunking” – anticipare e neutralizzare narrazioni considerate nocive prima che circolino – apre interrogativi sulla linea di confine tra prevenzione e censura preventiva.
Il nuovo centro si inserisce in una filiera comunicativa costruita negli ultimi anni, in cui si profila il rischio che il contrasto alle fake news diventi lo strumento perfetto per allineare ulteriormente il discorso pubblico e marginalizzare il dissenso. L’approccio tende, infatti, a privilegiare la modalità della sorveglianza e del controllo sull’informazione, più che la promozione del pluralismo. Come evidenziato dal dossier realizzato da Thomas Fazi [5], l’UE ha investito un miliardo e mezzo di euro in dieci anni per finanziare media, agenzie e progetti giornalistici. Programmi come Journalism Partnerships spingono verso un’informazione transnazionale “coerente” con l’agenda comunitaria, mentre l’European Newsroom – sostenuta da fondi UE – coordina 24 agenzie di stampa e produce contenuti condivisi che vengono ripresi dalle principali testate nazionali. Parallelamente, EDMO, la rete europea dei fact-checker, riceve fondi comunitari pur essendo composta in buona parte dalle stesse agenzie coinvolte in campagne di comunicazione pro-UE. Il risultato è un ecosistema in cui chi promuove la narrazione ufficiale è anche chiamato a validarne la verità, con un evidente rischio di conflitto d’interessi. In questo scenario, la creazione di un centro anti-fakenews appare come un ulteriore livello di filtraggio istituzionale, destinato a rafforzare l’allineamento già esistente. La logica dello Scudo rischia di consolidare un modello tecnocratico in cui l’UE definisce quali contenuti sono legittimi e quali devono essere segnalati, attenuati o rimossi, normalizzando il controllo del dissenso. Un meccanismo che, unito alla dipendenza economica dei media dai fondi comunitari, potrebbe ridurre ulteriormente la pluralità dell’informazione.