Tra il 2014 e il 2023, in Italia si sono verificati oltre 164.000 incidenti che hanno coinvolto persone in bicicletta, causando circa 3.000 i morti e più di 150.000 i feriti. Numeri di una strage quotidiana che arrivano dai risultati del primo Atlante italiano degli incidenti ciclistici, un monitoraggio colossale e senza precedenti realizzato dal Politecnico di Milano, che ha incrociato dati di Istat, Aci e delle forze dell’ordine per costruire una mappa georeferenziata e interattiva dell’incidentalità ciclistica. La media riporta una realtà in cui quasi ogni giorno un ciclista rimane ucciso sulle strade e altri 41 vengono feriti, in una mappa nazionale che mostra problematiche diffuse, ma con differenze regionali molto marcate.
Il lavoro, raccolto in un portale [1] consultabile online, rende visibili differenze territoriali nette: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana concentrano la maggioranza dei sinistri, con la Lombardia in testa (41.502 casi nel periodo). Tuttavia, il primato della pericolosità si sposta al Sud quando si parla di mortalità. Province come Enna, in Sicilia, o Vibo Valentia, in Calabria, registrano i tassi di mortalità più alti d’Italia, toccando rispettivamente picchi del 17,65% e del 12%. La fascia d’età più esposta è quella over-65, che rappresenta una quota consistente delle vittime.
Gli scenari degli incidenti raccontano una apparente contraddizione: tre incidenti su quattro avvengono in ambito urbano (73%), ma quasi la metà dei decessi si verifica su strade extraurbane, dove la velocità è maggiore e protezioni per i ciclisti scarseggiano. Il 68% degli scontri coinvolge autovetture; le tipologie più frequenti sono collisioni laterali e frontali-laterali agli incroci e nelle rotatorie, dove spesso emergono violazioni di precedenza. I dati mostrano anche quando avvengono i picchi: i giorni feriali con maggior incidentalità sono il giovedì e il sabato, mentre il momento più critico è il sabato mattina, con il picco che si verifica tra le 10 e le 12).
La mappatura evidenzia anche limiti tecnici, in quanto la completezza e la geolocalizzazione dei dati sono migliorate solo recentemente, e i dataset presentano ritardi di aggiornamento. «L’unica certezza è che della mobilità ciclistica, in Italia, sappiamo ancora relativamente poco – sottolineano [2] i ricercatori –. Proprio per questo, abbiamo deciso di rendere pubblici i nostri dati, contributo concreto per un dibattito costruttivo sul tema dell’incidentalità ciclistica, ma anche uno strumento operativo per il futuro». Grazie al monitoraggio effettuato emergono infatti indicazioni utili per interventi pratici: ridurre la velocità, costruire piste ciclabili fisicamente separate, eliminare interruzioni nelle reti ciclabili tra comuni e adottare misure di moderazione del traffico. L’esperienza di alcune città è indicativa: l’introduzione del limite a 30 km/h in determinate aree del territorio ha mostrato riduzioni significative degli incidenti e della mortalità, oltre a una crescita dell’uso della bicicletta.
Allargando lo sguardo sul modello di mobilità italiano, possiamo constatare come esso appaia da anni sostanzialmente fermo, ancora fortemente dipendente dall’automobile e solo marginalmente orientato verso altre forme di trasporto pubbliche e private. Come testimoniato [3] dal 21° Rapporto dell’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti (ISFORT) sulla mobilità degli italiani, uscito alla fine dell’anno scorso, in Italia l’automobile resta il mezzo di trasporto predominante: nel primo semestre del 2024 è stata utilizzata nel 63,1% degli spostamenti. Pur registrando un lieve calo rispetto all’anno precedente, il suo impiego risulta comunque superiore di 2,2 punti percentuali rispetto al 2019, prima della pandemia. In controtendenza, cresce l’uso dei mezzi pubblici, che hanno superato l’8%, e della mobilità dolce, a piedi o in bicicletta. Nel 2023 il tasso complessivo di mobilità sostenibile ha raggiunto il 31,1%, segnalando un piccolo miglioramento ma restando ancora lontano dai livelli pre-Covid. Guardando però agli ultimi vent’anni, il quadro rimane sostanzialmente immutato: nel 2000 la quota di spostamenti sostenibili era infatti del 34,1%.