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Per un calcio popolare: storia dello United of Manchester

Il nostro calcio, le nostre regole: questo è lo slogan di una squadra che lotta quotidianamente contro le norme di uno sport che giorno dopo giorno abbandona i legami con il popolo per preferire una visione ultracapitalista. Parlando della città di Manchester, in Inghilterra, le principali cronache calcistiche riguardano molto spesso due tra le squadre più blasonate del calcio inglese, il Manchester City e il Manchester United. Nella città simbolo della rivoluzione industriale, però, a compiere strenuamente la missione di sognare un calcio ancora popolare c’è un’altra squadra: il Football Club United of Manchester

La fondazione di questo club risale alla necessità di vivere uno sport spinto da valori reali, lontani dalla speculazione finanziaria e da un modello economico che ha sbaragliato il calcio, rendendolo sempre più elitista e lontano dalla passione viscerale di chi lo ama e lo segue. La nascita dello United of Manchester è il frutto di uno slancio di protesta contro una pratica alla quale siamo sempre più abituati: l’acquisizione, da parte di multimilionari, dei club più antichi e appoggiati dai tifosi. Dopo il tentativo di acquisto di Rupert Murdoch, proprietario di News Corporation e Fox Corporation, del Manchester United, nel 2005 è stato l’imprenditore statunitense Malcolm Glazer a mettere le mani sulla squadra dei Red Devils. 

A seguito dell’acquisto da parte di Roman Abramovich del Chelsea e il nuovo acquisto della squadra di Manchester, era chiaro che il mondo del calcio avesse intrapreso definitivamente la strada della mercificazione dello sport, che rapidamente avrebbe dato vita a una trasformazione irrevocabile. I biglietti per assistere alle partite sono saliti di prezzo, gli stessi orari dei match hanno iniziato a cambiare sulla base delle necessità delle emittenti televisive proprietarie dei diritti e gli sponsor e le pubblicità stavano diventando i principali protagonisti di uno spettacolo che fino a quel momento era stato reso possibile dalla stretta relazione tra tifoseria e squadra di casa.

L’acquisizione del team, che ha casa nello storico Old Trafford, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una parte della tifoseria che fino a quel momento aveva sostenuto il club ha deciso di voltare definitivamente le spalle ai Red Devils per fondare una nuova squadra. Alle radici di questo nuovo team doveva esserci la missione di vivere il calcio in maniera popolare, cooperativa e comunitaria. Il 30 maggio del 2005, nell’Apollo Theatre di Manchester, più di duemila persone hanno partecipato a una riunione finalizzata alla fondazione ufficiale del club; in quest’occasione, oltre a decretare un nome, sono stati stabiliti i princìpi fondamentali della squadra. Ogni anno chi è interessato a divenire membro deposita una quota minima di 25 sterline e ottiene il diritto di voto, attraverso il quale è possibile eleggere democraticamente un consiglio composto da undici persone. Il club si impegna a mantenere i prezzi di partecipazione e i biglietti accessibili e promette di creare legami con la comunità locale, senza discriminazioni e coinvolgendo quanto più possibile i giovani. Infine, il club si impegna nel far rimanere la società un’organizzazione senza fine di lucro. 

Dopo aver iniziato a disputare le partite nel Gigg Lane a Bury, il club ha decretato la necessità di costruire un proprio stadio, il quale, attraverso finanziamenti pubblici e almeno 400.000 sterline raccolte dai sostenitori, è stato edificato nell’area di Moston. Il 16 giugno del 2015, dieci anni dopo la fondazione del club, viene inaugurato il Broadhurst Park, lo stadio da 4400 posti che ospita le partite dell’undici femminile e maschile dello United of Manchester. 

Le due squadre gareggiano rispettivamente nella North West Women Regional League e nella Northern Premier League e in più di un’occasione sono state vicine a raggiungere la promozione, in particolar modo durante la stagione 2019/2020, segnata dalla pandemia da Covid 19. Sono state proprio le restrizioni applicate a chiudere forzosamente la stagione e a infrangere così il sogno delle due squadre. Inoltre, l’annullamento delle partite ha colpito duramente le finanze del club, il quale si sostenta esclusivamente attraverso le quote versate dalle persone iscritte, dai biglietti venduti e dalle consumazioni di cibo e bevande durante lo svolgimento delle partite. Ancora una volta, però, la generosità dei tifosi ha permesso al team di sopravvivere alla mancanza di introiti, grazie a varie campagne di autofinanziamento, avvenute attraverso progetti di beneficenza e donazioni private, che hanno permesso di raggiungere la cifra di 100.000 sterline. 

Nonostante alcuni tifosi dei Red Devils abbiano inizialmente storto il naso – tra cui lo storico allenatore della squadra Alex Ferguson, che ha accusato la fondazione del nuovo team di rappresentare un “tradimento” nei confronti del Manchester United –, il club popolare ha indubbiamente riscosso grande successo, specialmente tra le figure da sempre critiche con il calcio che FIFA e UEFA stanno gradualmente imponendo. Tra tutti spicca Eric Cantona, ex attaccante del Manchester United, che oltre a elogiare l’iniziativa, nel 2010 affermò di essere disposto a giocare per la squadra. 

Nel corso di questi vent’anni il club si è distinto per svariate azioni di volontariato sociale sul territorio: ogni venerdì, ad esempio, per il prezzo simbolico di una sterlina, si svolgono delle sessioni di “ricordi sportivi” destinati ad avvicinare persone sole e formare gruppi di dialogo. A questo si aggiungono progetti di giardinaggio comunitario e agricoltura all’interno dell’orto botanico che fa parte delle strutture dello stadio; sessioni di calcio per persone con disabilità; allenamenti comunitari per donne e programmi per avvicinare le bambine tra i cinque e gli undici anni al mondo del calcio. Ognuna di queste attività non supera il costo di tre sterline per sessione. 

Sognare un calcio ancora popolare non solo è possibile, ma necessario. Lontano dai contratti milionari, dalle necessità stabilite da un mercato ultracapitalista e dai lustri degli sponsor e della pubblicità, ci sono ancora società che lottano per far sì che questo sport resti un collante tra persone, una maniera di educare, unire e avvicinare una comunità alla sua squadra. Mentre il calcio dei multimilionari allontana e discrimina chi non può più permetterselo, lo United of Manchester fa del popolo la sua forza.

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Armando Negro

Laureato in Lingue e Letterature straniere, specializzato in didattiche innovative e contesti indipendentisti. Corrispondente da Barcellona, per L’Indipendente si occupa di politica spagnola, lotte sociali e questioni indipendentiste.