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La manovra redistribuisce al contrario: 400 euro ai dirigenti, 23 agli operai

La legge di Bilancio 2026 conferma una redistribuzione alla rovescia: il taglio dell’Irpef premia i redditi più alti lasciando briciole ai lavoratori con salari modesti. Secondo le analisi tecniche, pubblicate da una fonte ufficiale come l’Ufficio parlamentare di Bilancio, i dirigenti beneficeranno di un risparmio medio di 408 euro annui, contro i 123 degli impiegati e i soli 23 euro degli operai. Il risultato è che quasi la metà dei 2,7 miliardi stanziati in Manovra andrà all’8% dei contribuenti con redditi superiori ai 48.000 euro.

I numeri dell’Ufficio parlamentare di Bilancio fotografano [1] con precisione le disparità: «Il beneficio medio è pari a 408 euro per i dirigenti, 123 per gli impiegati e 23 euro per gli operai». Per i lavoratori autonomi il vantaggio si attesta su 124 euro, per i pensionati su 55. La misura, presentata come sostegno al “ceto medio”, finisce così per concentrare i suoi effetti sui redditi medio-alti, con «circa il 50 per cento del risparmio di imposta» che va a favore di quella fascia di contribuenti che rappresenta solo l’8% del totale. Anche il tentativo di correggere i vantaggi per i redditi oltre i 200.000 euro si rivela inefficace. Secondo l’organismo di vigilanza, la compensazione «riguarderà circa un terzo» della platea interessata, pari a 58.000 contribuenti. Per questi, il taglio di detrazione è di 188 euro, una quota assai inferiore al risparmio di 440 euro di cui beneficeranno grazie alla legge. Il risultato è che gran parte dei percettori di redditi elevati conserverà integralmente il vantaggio del taglio Irpef.

Le critiche all’impianto della manovra hanno coinvolto tutte le autorità indipendenti. L’Istat ha confermato che oltre l’85% delle risorse sarebbe destinato «alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito». La Banca d’Italia ha sottolineato come l’intervento produrrà variazioni trascurabili sulle disuguaglianze, definendo «limitata» la sua capacità di rilanciare i rinnovi contrattuali e «incerta» la sua attuazione pratica. Persino il trattamento degli affitti nel calcolo dell’Isee finisce per penalizzare le famiglie meno abbienti. L’Ufficio parlamentare di Bilancio ha evidenziato come la modifica «alteri un elemento cardine della struttura dell’indicatore, ossia il trattamento equivalente» tra chi possiede l’abitazione e chi paga un affitto. Completano il quadro le perplessità sulle misure relative a banche e assicurazioni, con la Corte dei conti che ha bollato l’aumento temporaneo dell’Irap come un’anticipazione di imposte future che creerà un buco di bilancio a partire dal 2029. Un disegno complessivo che, nonostante le retoriche sul sostegno al ceto medio, conferma come la manovra finisca per ampliare le disuguaglianze invece di ridurle.

Mentre si moltiplicano rilievi e critiche sulla distribuzione delle risorse nella Manovra, non si può che constatare come il quadro finanziario sia dettato anche dai forti vincoli del Patto di Stabilità accettato [2] l’anno scorso dal governo Meloni – che ha reso tecnicamente impossibile una Manovra espansiva – e dalla spinta al riarmo. Quest’estate [3], gli Stati Uniti e la NATO hanno richiesto ai Paesi membri dell’Alleanza spese militari al 5% del Pil. Una prospettiva a cui la premier Meloni si è sin da subito allineata, affermando [4] davanti al Parlamento che si tratta di «impegni importanti e necessari che l’Italia rispetterà».

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.