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Crosetto spinge sul riarmo: “Servono una riforma dell’esercito e 30mila soldati in più”

Per garantire un’adeguata difesa del Paese servirebbe disporre di un esercito con un contingente di almeno 200 mila uomini, ma in Italia ve ne sono “solamente” 170 mila. È quanto ha dichiarato il ministro della Difesa Crosetto durante una puntata della trasmissione 5 minuti, in onda su RAI 1. Secondo il ministro, infatti, l’Italia si trova ad affrontare scenari di rischio che fino a cinque anni fa «non erano prevedibili» e, per tale motivo, vanno aumentate le risorse destinate alla Difesa, anche in termini di uomini.

Secondo quanto dichiarato [1] dal ministro, «il modello della legge 244 prevede 170 mila uomini» ed è stato pensato «in uno scenario dove l’Italia avrebbe al massimo partecipato a missioni internazionali, come quella in Afghanistan». Tuttavia, «la situazione che stiamo vivendo adesso ci impone a prepararci a scenari che fino a cinque anni fa non erano prevedibili: questo vuol dire avere più personale, perchè serve anche capacità di farlo ruotare, e servono regole diverse di reclutamento». La legge alla quale fa riferimento il ministro è la n. 244 del 2012 (la cosiddetta “legge Di Paola”), emanata dunque appena 13 anni fa, la quale puntava [2] a ridimensionare notevolmente le dimensioni dell’apparato generale italiano entro il 2024, tanto in termini di personale – civile e militare – quanto in quelli delle strutture. L’obiettivo esplicito era quello di «realizzare uno strumento militare di dimensioni più contenute, ma più sinergico ed efficace nell’operatività e pienamente integrato e integrabile nel contesto dell’Unione Europea e della NATO». Così, oltre a una riduzione complessiva del 30% di tutte le strutture logistiche, operative, territoriali e periferiche, e un riequilibrio generale del Bilancio della Funzione Difesa, era prevista anche una riduzione del personale militare (da 190 mila a 150 mila unità) e di quello civile (da 30 mila a 20 mila unità).

Già a partire dal 2020 (in piena pandemia da Covid 19), tuttavia, era in preparazione un processo di riforma della legge che puntava ad aumentare l’organico, in ragione «dell’aumento degli impegni che le Forze Armate devono sostenere in Italia e all’estero», e il differimento della scadenza al 2024, secondo quanto dichiarato [3] nella relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato. Il tutto, nonostante «le necessità generate dalla situazione economica radicalmente mutata nel 2020 per la pandemia da Covid 19». Attualmente, secondo il ministro, l’incremento necessario sarebbe «di 30 mila unità in più», tenendo anche conto del fatto che «i tedeschi ne hanno 260-280 mila».

Le risorse, dunque, sembrano non bastare mai, anche se nel 2026 l’Italia spenderà [4] la cifra più alta di sempre per la Difesa: 34 miliardi di euro complessivi, con un incremento di 1 miliardo in un solo anno e del 45% in appena 10 anni. E la cifra, calcolata in base alle stime dell’Osservatorio MilEx, non tiene conto delle uscite per la sicurezza nazionale in senso più ampio, la quota complementare che la NATO inserisce nel target complessivo del 5% del PIL (cybersicurezza, sicurezza infrastrutturale, mobilità militare e così via). Nel frattempo, gli altri capitoli di spesa vedono effettuati tagli netti, col governo che cerca dichiaratamente di assecondare i parametri europei per uscire dalla procedura d’infrazione per l’eccessivo disavanzo finanziario. Così, in Italia la spesa sanitaria è ben al di sotto della media [5] UE, collocando il nostro Paese all’ultimo posto tra quelli del G7 e al 14° tra i Paesi OCSE. Un discorso analogo [6] vale per l’istruzione, con l’Italia che (secondo le elaborazioni della FLC CGIL su dati Eurostat) si qualifica come il Paese UE che ha la spesa più bassa in assoluto rispetto alla spesa pubblica totale (il 7,3%, rispetto alla media UE del 9,6%) e terz’ultima rispetto al PIL (3,9%, rispeto alla media UE del 4,7%).

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.