Bruxelles accelera sull’allargamento e guarda ai Balcani occidentali come alla prossima frontiera dell’Unione. Montenegro e Albania sono ormai a un passo dall’adesione, Moldavia e Ucraina restano in corsa, tra progressi e incognite politiche, mentre la Georgia arretra e la Turchia resta bloccata, con i negoziati di adesione fermi dal 2018. Dopo anni di promesse e rinvii, l’Unione Europea, nell’Enlargement Summit organizzato da Euronews a Bruxelles, indica per la prima volta un orizzonte concreto: il 2026-2027 come finestra temporale per l’ingresso dei due Paesi balcanici. Un segnale politico forte, che traduce la strategia europea di stabilizzare il suo “vicinato” e contenere le influenze di Mosca e Pechino. Dietro l’entusiasmo diplomatico restano, però, nodi strutturali ancora irrisolti: il rafforzamento dello stato di diritto, la lotta alla corruzione e la capacità dell’UE di accogliere nuovi membri senza compromettere la propria coesione interna.
La Commissione europea ha indicato Montenegro e Albania come i Paesi più prossimi all’ingresso, con negoziati avanzati e un percorso di riforme quasi completato, ma devono accelerare le riforme per non perdere il treno dell’adesione, secondo il nuovo pacchetto dell’esecutivo europeo. «Nel complesso, il 2025 è stato un anno di progressi significativi per l’allargamento dell’UE», è il bilancio tracciato da Marta Kos [1], commissaria per l’Allargamento. «Montenegro, Albania, Ucraina e Moldavia si distinguono» per ragioni diverse, ma in comune hanno il fatto di «essere stati loro a compiere i maggiori progressi nelle riforme nell’ultimo anno». Il Montenegro, capofila del gruppo, ha chiuso buona parte dei capitoli negoziali, mostrando un allineamento crescente alle politiche europee. L’Albania segue a ruota, spinta dal sostegno politico della Commissione e da progressi tangibili nella magistratura e nella lotta alla criminalità organizzata. L’obiettivo, dichiarato dai funzionari europei, è di arrivare a una piena adesione entro la fine del decennio, a condizione che i due Paesi mantengano la rotta sulle riforme. L’allargamento ai Balcani rappresenta per Bruxelles una scelta strategica: consolidare la propria influenza in un’area storicamente instabile e oggi cruciale per la sicurezza e l’energia del continente.
Più complesso il quadro per Moldavia e Ucraina. La Moldavia resta un partner privilegiato, ma deve ancora completare l’apertura di tutti i capitoli negoziali e rafforzare la sua tenuta istituzionale. Per l’Ucraina, la Commissione europea ha riconosciuto “progressi notevoli” verso l’adesione, ma ha messo in guardia contro “tendenze negative” legate alla corruzione e all’indipendenza della magistratura. La Commissione si dice pronta a sostenere Kiev, che continua a spingere per un’accelerazione politica del processo entro fine 2028, ma avverte: «È necessaria un’accelerazione del ritmo delle riforme, in particolare per quanto riguarda i princìpi fondamentali, in particolare lo stato di diritto». A porre un freno alle ambizioni dell’Ucraina è il veto dell’Ungheria al suo status di candidato: Viktor Orbán ha bloccato l’avvio formale dei negoziati, poiché ritiene che l’ingresso di Kiev metterebbe in pericolo l’Europa. La reazione di Volodymyr Zelensky, non si è fatta attendere e ieri, in videocollegamento al summit sull’allargamento, ha ribadito che il veto al suo Paese rappresenta un favore diretto al Cremlino: «Non vorremmo che Orbán sostenesse la Russia, perché bloccare il nostro ingresso nell’UE rappresenta un sostegno specifico a Putin», ha insinuato il leader ucraino. L’Unione si trova così di fronte a un bivio: sostenere Kiev come segnale geopolitico, ma senza compromettere i propri criteri interni di adesione.
L’accelerazione sull’allargamento segna per l’Unione Europea una svolta strategica, ma il cammino resta irto di ostacoli. Bruxelles punta a consolidare unità e stabilità nel continente, ma deve confrontarsi con i propri limiti e con le fragilità dei Paesi candidati, sotto osservazione per lo stato di diritto, l’indipendenza della magistratura, la corruzione e la lentezza delle riforme. È soprattutto Kiev a rappresentare la prova più complessa: pur avendo compiuto passi avanti significativi, continua a essere osservata speciale per la persistenza di fenomeni corruttivi, pressioni politiche e lentezza nelle riforme, aggravate dal contesto bellico. Anche Serbia e Bosnia-Erzegovina faticano a garantire efficienza e affidabilità delle istituzioni. L’Europa guarda a Est con ambizione, ma l’integrazione potrà compiersi solo se le promesse si tradurranno in riforme reali. L’allargamento è ormai una prova di credibilità, non solo di geopolitica.