La polizia israeliana ha arrestato, nella notte di lunedì 3 novembre, la procuratrice generale dell’esercito, Yifat Tolmer-Yerushalmi. La militare si era dimessa lo scorso 31 ottobre, dopo aver ammesso di aver autorizzato la diffusione, lo scorso anno, di un video nel quale si vedono alcuni soldati israeliani che torturavano un detenuto palestinese nella prigione di Sde Teiman, nel deserto del Negev. Secondo le prime informazioni, la diffusione delle immagini avrebbe avuto lo scopo di difendere l’operato dell’ufficio che stava indagando sugli abusi commessi nel penitenziario, mentre l’estrema destra israeliana negava che questi fatti fossero mai avvenuti. La donna è scomparsa domenica per alcune ore, ma è stata successivamente arrestata a seguito di una imponente operazione di ricerca che ha coinvolto polizia, esercito e soccorsi.
Le indagini sulla diffusione del video sono iniziate l’ultima settimana di ottobre. Secondo quanto riferito dal media israeliano Times of Israel, queste avrebbero preso il via dopo che un ufficiale dell’ufficio del procuratore generale avrebbe fallito un test di routine con la macchina della verità, durante il quale erano state effettuate domande proprio in merito alla diffusione del video. Poco dopo, il 31 ottobre, Tomer-Yerushalmi ha consegnato una lettera di dimissioni nella quale ha scritto esplicitamente di aver autorizzato la diffusione del video: «ho approvato la divulgazione del media nel tentativo di contrastare la falsa propaganda diretta contro le autorità militari preposte all’applicazione della legge», riportano i media israeliani. Poco dopo, il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato [1] che la militare non sarebbe tornata al suo incarico e assicurato che sarà «fatta giustizia» contro chiunque abbia «contribuito alla calunnia» contro i soldati israeliani.
Il video era stato trasmesso dal canale di informazione israeliano Channel 12 nell’agosto del 2024, ma i fatti sono avvenuti il mese precedente. In esso si vedevano i soldati dell’IDF prelevare un detenuto sdraiato a terra a faccia in giù e, mentre alcuni di essi coprivano la scena con gli scudi antisommossa, altri abusavano di lui. Successivamente, era emerso che il detenuto era stato torturato e violentato e che aveva riportato fratture e gravi lesioni interne. I fatti avevano portato all’incriminazione di cinque soldati israeliani, ma i politici di estrema destra avevano avanzato l’ipotesi che il video fosse falso e che nella prigione non avvenissero abusi: proprio per evitare che il proprio dipartimento, che stava conducendo le indagini, fosse screditato, Tomer-Yerushalmi avrebbe diffuso il video.
Che all’interno delle carceri israeliane i palestinesi siano sistematicamente sottoposti a torture e trattamenti inumani è ormai un fatto accertato. Nell’ambito dello scambio di ostaggi concordato nell’ambito del cessate il fuoco tra Hamas e Israele, sui corpi [2] di almeno 135 palestinesi (quasi tutti provenienti proprio dalla prigione di Sde Teiman) sono state rinvenute fratture, segni di corde al collo, occhi bendati, mani e piedi legati. Molti dei sopravvissuti alla detenzione nel carcere hanno raccontato di essere stati sottoposti a pestaggi regolari, scosse elettriche, privazione di cibo e sonno e svariati altri tipi di tortura. Anche i casi [3] di violenza sessuale (compresa quella di gruppo) sono diffusi. In questo contesto, guardie carcerarie e personale medico si rifiutano puntualmente di prestare soccorso, anche quando è a rischio la sopravvivenza stessa dei soggetti.
Si tratta di una prassi perfettamente in linea con la linea definita dal ministero della Sicurezza Nazionale di Itamar Ben-Gvir: al momento del suo insediamento nel 2024, infatti, il nuovo commissario del Servizio carcerario israeliano, il tenente generale Koby Yaakoby, ha dichiarato che la propria priorità è proprio il peggioramento delle condizioni di detenzione dei detenuti palestinesi. Dopo il 7 ottobre, il numero dei detenuti nelle carceri israeliane è aumentato esponenzialmente: secondo l’ONU, sono almeno [4] 75 i palestinesi morti durante la detenzione in carcere dall’inizio dell’aggressione israeliana nel 2023 al 31 agosto 2025. L’ente ha quindi intimato Israele di «porre fine con urgenza alla tortura sistematica e ad altri maltrattamenti nei confronti dei palestinesi detenuti». L’ennesimo appello caduto nel vuoto.