Quando si parla di parchi eolici in Italia, emergono due principali obiezioni. La prima riguarda il possibile impatto paesaggistico, ossia i cambiamenti che l’installazione delle turbine potrebbe comportare sul territorio. La seconda critica riguarda invece i progetti promossi da società estere, accusate di sfruttare le risorse locali senza generare benefici concreti per la comunità. Esiste però un progetto interamente sostenuto da investitori italiani, che punta a realizzare uno dei più grandi hub energetici dedicati alle rinnovabili nel mare Adriatico, a circa 12 miglia dalla costa di Ravenna, dove le pale eoliche non avrebbero alcun impatto sul paesaggio. Tuttavia, la costruzione dell’impianto è ferma da mesi a causa dell’indecisione del governo, che ne rallenta l’avvio operativo. Si tratta del progetto AGNES Romagna [1], due impianti eolici offshore da 600 megawatt in totale integrati da un parco fotovoltaico galleggiante. L’obiettivo è costruire nel mare Adriatico un polo energetico completamente rinnovabile, capace di fornire energia pulita a circa 500mila famiglie. Un contributo più che rilevante per la Regione Emilia-Romagna, che punta a raggiungere 6,3 gigawatt di energia rinnovabile entro il 2030.
Eppure, a più di un anno dall’autorizzazione ambientale ottenuta nel luglio 2024, tutto è ancora fermo. «Abbiamo ricevuto la Valutazione di Impatto Ambientale, ma il sistema delle aste non è partito – ha spiegato all’Indipendente Alberto Bernabini, amministratore delegato di AGNES – Ci sono stati 130 progetti in Italia, ma solo quattro sono stati autorizzati. Senza aste non possiamo procedere, perché i passi successivi sono molto costosi. Quindi aspettiamo di capire cosa vuole fare il governo».
Alla base dello stallo c’è il meccanismo delle aste pubbliche, gestito dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Il sistema funziona così: lo Stato fissa un prezzo di riferimento per l’energia prodotta da fonti rinnovabili, e i progetti che partecipano alla gara competono offrendo un prezzo inferiore. Vince chi propone di fornire energia al costo più basso.
Questo meccanismo garantisce che i progetti più efficienti e competitivi ottengano il sostegno economico necessario per avviare la costruzione. Tuttavia, le ultime due aste nazionali non hanno incluso l’eolico offshore. «Il risultato – osserva Bernabini – è che tutto il settore è in stallo. La nostra tecnologia è matura, ma senza la possibilità di partecipare alle aste non possiamo ottenere la tariffa che ci permetterebbe di partire. In altri Paesi, come il Regno Unito, le aste vengono differenziate tra impianti a fondazioni fisse e galleggianti, con tariffe calibrate sui costi reali. In Italia, invece, questo processo non è nemmeno iniziato».
Manca una legge, sostiene il governo, per poter introdurre tariffe differenziate tra impianti a fondazioni fisse e galleggianti. Una distinzione che in molti Paesi europei è già realtà, ma che in Italia non ha ancora nemmeno avviato il suo iter normativo. «Per modificare la legge – spiega Bernabini – servirebbe almeno un anno, ma al momento non ci risulta che sia partito nulla. È assurdo: su 133 progetti presentati, solo due riguardano impianti fissi come il nostro, entrambi in Emilia-Romagna. Cambiare la normativa per due progetti non dovrebbe essere un problema, eppure tutto resta fermo».
La situazione è tanto più paradossale se si considera che, mentre il progetto AGNES attende un segnale politico, il governo ha riaperto [2] le licenze per nuove trivellazioni di gas in mare, mentre pochi mesi fa, proprio al largo di Ravenna, è stato installato il rigassificatore, anche questo approvato [3]a tempo di record: «Non siamo contrari alle trivelle in sé — chiarisce Bernabini — ma non ha senso rallentare la transizione energetica per tornare al gas. I consumi di gas in Italia sono in calo costante da vent’anni: la gente passa alle pompe di calore, le industrie cambiano processi, e la domanda diminuisce ogni anno. Investire su nuove estrazioni significa guardare al passato». Dietro la prudenza dell’esecutivo si nasconde anche un problema di strategie altalenanti: «Ogni tre o quattro anni il governo cambia gli obiettivi e questo è devastante per chi lavora in un settore che richiede pianificazioni a dieci anni. Non si può investire miliardi se le regole cambiano di continuo».
Eppure, l’impianto ravennate potrebbe rappresentare un tassello fondamentale nella corsa italiana alla neutralità climatica. Secondo Legambiente, l’Italia dispone di un potenziale eolico offshore elevatissimo, in particolare per quanto riguarda la tecnologia galleggiante: uno studio [4]citato dall’associazione stima fino a 20 GW installabili entro il 2050. Peccato che al momento ci sia solo un impianto operativo: il parco near-shore di Taranto entrato in funzione nel 2022.
Un dato che mostra con chiarezza il ritardo italiano in un settore che, altrove in Europa, è ormai una colonna portante della transizione energetica. Il risultato è un paradosso tutto nazionale: un Paese circondato dal mare, con la tecnologia e le risorse per produrre energia pulita, che continua a tenere ferme le pale mentre riaccende le trivelle.