Nonostante la crescita delle buste paga, il portafoglio degli italiani pesa meno di quanto non lo facesse quattro anni fa. A certificarlo sono gli ultimi dati dell’Istat [1] sui contratti collettivi e le retribuzioni contrattuali, che prendono in esame il terzo trimestre del 2025. Negli ultimi tre mesi, rimarca l’ufficio italiano di statistica, la crescita tendenziale delle retribuzioni contrattuali ha rallentato rispetto al trimestre precedente, pur mantenendosi al di sopra dell’inflazione; i salari reali, tuttavia, rimangono inferiori dell’8,8% rispetto a quelli di gennaio 2021. L’aumento dei salari nominali rivendicato dal governo Meloni, insomma, è ancora ben lontano da compensare l’incremento dei prezzi degli ultimi anni, che sta lentamente erodendo il potere di acquisto degli italiani.
I dati dell’Istat analizzano la situazione per i lavoratori dipendenti. Secondo l’ufficio, l’indice delle retribuzioni contrattuali lorde a settembre 2025 è rimasto invariato rispetto al mese precedente, ma ha registrato un aumento tendenziale (ossia su settembre 2024) del 2,6%; «l’aumento tendenziale è stato più marcato (3,3%) per i lavoratori della pubblica amministrazione, rispetto a quello dei dipendenti dell’industria (2,3%) e dei servizi privati (2,4%)», precisa l’Istat; il settore specifico a registrare l’aumento tendenziale maggiore è quello dei ministeri, con un aumento del 7,2%, seguito da quello della difesa, con un incremento del 6,9%. Inoltre, la retribuzione oraria media nel periodo gennaio-settembre 2025 è cresciuta del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2024.
Nonostante la situazione positiva in termini tendenziali, l’Istat sottolinea come in questo terzo trimestre del 2025 l’aumento dei salari nominali si sia arrestato rispetto allo scorso trimestre. A ciò si aggiunge il fatto che la ripresa sull’inflazione resta ancora troppo tenue. «Le retribuzioni contrattuali in termini reali», ossia adeguati all’inflazione, «a settembre 2025 restano al di sotto dell’8,8% ai livelli di gennaio 2021», sottolinea infatti l’ufficio di statistica, fotografando una realtà nota ormai da tempo: il potere di acquisto degli italiani va calando da anni. Confrontando il Belpaese con l’Unione Europea, l’Italia figura tredicesima nella graduatoria che confronta i poteri di acquisto degli europei. Secondo il Purchasing power standard (PPS [2]), una moneta artificiale che consente di confrontare i dati sul reddito tra Paesi con diverso costo della vita, il reddito parametrato degli italiani è infatti di 25.145 PPS, contro una media europea di 27.506; in questa particolare classifica, l’Italia risulta l’ultima tra le grandi Nazioni, sotto a Germania, Francia, e Olanda e la prima tra le piccole.
