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Camerun in rivolta: migliaia nelle strade, la polizia arresta e uccide

Il 27 ottobre il Consiglio Costituzionale del Camerun ha annunciato i risultati definitivi delle elezioni presidenziali, che hanno decretato il 92enne e presidente del Camerun dal 1982 Paul Biya, ancora una volta vincitore delle elezioni con il 53,6% dei voti. Il risultato, dall’esito quasi scontato, ha scatenato la rabbia dei cittadini camerunensi che, già prima dell’annuncio ufficiale, si sono riversati nelle piazze delle principali città per denunciare i brogli e contestare il governo del vecchissimo presidente. La risposta delle forze di polizia nei confronti dei manifestanti è stata spietata: lacrimogeni ad altezza d’uomo, proiettili di gomma, ma anche proiettili veri. Un bilancio conclusivo degli effetti della repressione non è possibile ma, secondo quanto riportato [1] dal movimento Stand up for Cameroon, sarebbero almeno 23 i dimostranti uccisi dagli agenti.

Secondo il governo le vittime erano tra i manifestanti che hanno attaccato una brigata di gendarmeria e stazioni di polizia in due distretti. Ma la repressione del Governo era già in atto, prima del fine settimana, con il divieto di assembramento e l’inizio di arresti arbitrari, fino al fermo [2] di venerdì sera di Anicet Ekane e Djeukam Tchameni, due figure di spicco della piattaforma politica dell’Unione per il Cambiamento che ha appoggiato il candidato Issa Tchiroma Bakary. Nelle settimane precedenti sono stati diversi gli arresti tra chi protestava contro la rielezione di Biya. A dirlo è lo stesso Ministro per l’Amministrazione Territoriale, Paul Atanga Nji, che ha dichiarato sabato ai giornalisti che il governo ha arrestato diverse persone perché sospettate di aver pianificato attacchi violenti con il pretesto delle proteste, senza però dare ulteriori informazioni. Dopo la riconferma di Biya annunciata lunedì, il nuovo e vecchio Presidente ha dichiarato su X [3] che «i miei primi pensieri vanno a tutti coloro che hanno perso la vita inutilmente, così come alle loro famiglie, a causa della violenza post-elettorale».

Parole che, se pronunciate da un quarantennale dittatore, sembrano più lacrime di coccodrillo. In sette mandati presidenziali la costante è stata la repressione nei confronti del dissenso e l’uso della violenza come risoluzione dei problemi. Ne è un esempio il modo in cui viene affrontata una delle questioni più importanti del Camerun e cioè la situazione delle minoranze anglofone del nordovest e sudovest.

Una questione che ha le radici nel periodo coloniale, durante il quale, dopo la Prima Guerra Mondiale, il Camerun fu diviso tra francesi e inglesi. Raggiunta l’indipendenza nel 1960, l’anno successivo venne instaurata la Repubblica Federale del Camerun. Fino al 1972 le differenze e le spinte secessioniste non si fecero sentire, anche perché fu lasciata un discreta autonomia alle minoranze anglofone, ma tutto cambiò quando vennero scoperti diversi giacimenti di petrolio proprio al largo delle coste camerunensi. Dopo che un referendum aveva abolito la Repubblica Federale per concentrare i poteri nel governo centrale la pressione e la discriminazione sulle minoranze anglofone iniziò a farsi sentire come mai prima. Così, dal 2016 si combatte una sanguinosa guerra tra i gruppi secessionisti anglofoni e le Forze Armate Camerunensi. In questi anni la repressione delle forze governative ha portato a migliaia di morti, centinaia di villaggi rasi al suolo e più di un milione di sfollati.

L’ esercito [4] è accusato di esecuzioni extragiudiziali, arresti arbitrari, sparizioni, prigionia illegale, tortura, nonché distruzione di case, scuole e centri sanitari. Su questa questione e sulla guerra aperta ai gruppi jihadisti nel nord est del Paese, sulle sponde del lago Ciad, si è giocata molta della campagna elettorale. Ma sia da una parte che dall’altra Biya nei suoi più di 40 anni di governo non ha trovato soluzioni se non repressive e di censura, un punto che ha spinto in piazza la giovane popolazione del Camerun, che vede l’età media dei suoi cittadini attestarsi a 24 anni, non più rappresentata da un presidente 68 anni più vecchio. Come se non bastasse, il 37% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il 23% in povertà assoluta. I camerunensi lamentano una corruzione dilagante e una gestione clientelare delle importanti e redditizie risorse del Paese, come petrolio e cacao, affiancate a un tasso [5] di disoccupazione anche al 13,7% tra i giovani delle grandi città.

Issa Tchiroma Bakary, insieme alla maggior parte dei candidati perdenti hanno denunciato elezioni fraudolente e rigettato il risultato elettorale. Il governo però ha negato le accuse definendole «infondate e provocatorie» e dichiarando che più di 5.000 osservatori internazionali e nazionali hanno monitorato le elezioni. Se da una parte l’Unione Europea, tramite un suo portavoce, si dice [6] «profondamente preoccupata della violenta repressione delle piazze», dall’altra accetta senza riserve il risultato elettorale. L’Unione Africana (UA)  invece, per voce del Presidente della Commissione, Mahmoud Ali Youssouf, si congratula con Biya, mentre gli osservatori dell’UA hanno affermato che le elezioni sono state «condotte in larga parte in conformità con gli standard regionali, continentali e internazionali». 

Ad oggi, la tensione rimane elevata. Le strade riprendono lentamente una certa normalità, ma l’atmosfera resta carica di sfiducia. Le forze di sicurezza continuano a pattugliare i punti-critici mentre i giovani delusi da decenni di governo unico chiedono un cambiamento. Questo ottavo mandato del 92enne Biya dovrà rispondere alle istanze di un futuro possibile per i giovani. Se questo non succederà, le proteste appena iniziate potrebbero segnare solo l’anticamera di rivolte generalizzate.

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Filippo Zingone

Laureato in Antropologia presso la Sapienza di Roma per poi conseguire il master in giornalismo della Fondazione Lelio e Lisli Basso. Si occupa di esteri, focalizzandosi sull’Africa subshariana e il Medio Oriente.