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L’Europa congela le sanzioni a Israele con la scusa dell’accordo di tregua

I ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno deciso di congelare la proposta di sanzionare Israele. «Al momento non procediamo, ma non le escludiamo nemmeno», ha detto l’alta commissaria per gli Affari Esteri Kaja Kallas, sostenendo che la decisione è stata presa a fronte della «fragilità» della situazione sul campo. Mentre Israele continua a violare il cessate il fuoco a Gaza bombardando e affamando la popolazione, l’UE sfrutta la ratifica dell’accordo per continuare a evitare di prendere contromisure nei confronti dello Stato ebraico, arrivando a lodarlo per il suo lavoro: «Dobbiamo constatare un miglioramento degli aiuti umanitari a Gaza», ha detto infatti Kallas, senza menzionare che finora Israele ha concesso un’apertura dei corridoi umanitari solo parziale.

L’unica misura concreta adottata dall’Unione dopo due anni di genocidio e 70 mila morti civili, dunque, è stata fermata ancora prima di entrare effettivamente in vigore. Le sanzioni, proposte [1] lo scorso settembre, prevedevano iniziative tiepide, a una prima impressione volte più a dare l’impressione alla società civile (in rivolta in tutta europa) di star agendo concretamente che non atte a fermare genocidio e l’avanzare delle nuove colonie illegali in Cisgiordania. Tra timidi innalzamenti dei dazi doganali e sanzioni contro Hamas e «ministri estremisti», infatti, non vi era alcun accenno a misure quali il blocco del commercio di armi o della collaborazione di aziende e università europee con i progetti di ricerca dello Stato sionista destinati alla sorveglianza della popolazione palestinese.

L’UE prosegue così sulla linea del doppio standard, non applicando nessuna misura contro Tel Aviv (che a 10 giorni di cessate il fuoco ha ucciso oltre cento palestinesi, scaricando [2] in un solo giorno 153 tonnellate di bombe su Gaza) ma proseguendo imperterrita con le sanzioni alla Russia. Con l’ultimo pacchetto [3] di sanzioni, il 19° dall’inizio della guerra nel 2022, l’Unione introduce infatti nuove misure che mirano a colpire settori economici strategici per Mosca, oltre ad annunciare il completo stop all’importazione di gas e GNL dalla Russia entro due anni. Misure che non sono neanche lontanamente state messe sul piatto, nel caso di Israele: mentre infatti criticava la mancanza di volontà, da parte della Russia, di arrivare a un accordo di pace, l’alta commissaria Kallas ha infatti dichiarato [4] che in Medioriente «il cessate il fuovo ha superato il primo stress test e penso che questa sia una buona prima fase, ma ovviamente dobbiamo lavorare su cosa possiamo fare in più per arrivare a una pace sostenibile», ammettendo che «c’è molto da fare per portare all’interno gli aiuti umanitari» e «per far durare il cessate il fuoco». Secondo [5] l’Europa, la responsabilità di una possibile rottura dell’accordo di pace è da imputare ad Hamas, per il suo «rifiuto di deporre le armi» e i suoi attacchi «contro i civili palestinesi». Ma la minaccia di sanzioni rimane sul tavolo, almeno fino a che non si assisterà a un cambiamento «reale e duraturo».

Nel frattempo, a Gaza si continua a morire. Di fatto, i palestinesi hanno raccontato ai giornalisti di non aver assistito a «nessun reale cambiamento», dall’inizio del cessate il fuoco: gli attacchi israeliani continuano, mentre gli aiuti umanitari sono ancora in gran parte bloccati. Il tutto nonostante Hamas stia mantenendo i propri impegni, con la restituzione, nella giornata di ieri, dei resti di due ostaggi. Per il vicepresidente USA, JD Vance, in visita a Tel Aviv per parlare degli sviluppi del prossimo futuro, il cessate il fuoco sta «andando meglio del previsto». E l’Europa sembra essere dello stesso parere.

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.